Il Club: recensione del film di Pablo Larrain Orso d’Argento 2015
Il club (titolo originale El Club) è l’ultimo film del regista cileno Pablo Larrain con Roberto Farías, Antonia Zegers, Alfredo Castro, Alejandro Goic, Alejandro Sieveking. Vincitore dell’Orso d’Argento a Berlino, gran premio di Giuria dello scorso anno e inspiegabilmente fuori dalla short list degli Oscar 2016 nella categoria “Miglior Film Straniero” in rappresentanza del Cile.
Il film è ambientato a La Boca, un paese di mare che accoglie in una casa di raccoglimento e preghiera quattro preti e una suora sconsacrati e allontanati dalla Chiesa per aver commesso atti criminosi. Suor Monica è colei che mantiene l’ordine all’interno della casa, rispettando e facendo rispettare gli orari del pranzo e della cena, le ore della preghiera e quelle dove i preti hanno la libertà di girare per il paese. Solitamente in queste ore libere tutti e quattro gli uomini si occupano dell’addestramento di un levriero (unica razza nominata nella Bibbia), un cane che utilizzano per partecipare a gare di paese.
Tutto sembra essere velato da una normale patina di quotidianità fino all’arrivo di padre Mathias, uomo taciturno e malinconico, poco incline al rispetto delle regole della casa di raccoglimento gestita da Suor Monica. In fin dei conti, dice Mathias, quello di cui è stato accusato non è un peccato così grave come ciò che caratterizza gli altri uomini. Ma di quale peccato si è macchiato Mathias? Lo scopriamo presto grazie a Sandokan, un uomo profondamente turbato che si aggira per il paese, soprattutto nei pressi della casa di recupero, raccontando la sua storia: descrive minuziosamente tutte le fasi dell’abuso che ha subito da bambino proprio dall’ex padre Mathias. Sandokan usa parole taglienti, crude, che non lasciano scampo, e l’accusato non regge il confronto con il drammatico e diretto monologo dell’uomo, così prende una pistola e si toglie la vita.
Il club: le colpe velate dietro una normale patina di quotidianità
Tutto questo avviene nella prima parte del film, dopo di che lo spettatore è messo davanti alle conseguenze delle colpe di questi uomini, la loro non curanza nel cercare di cambiare. Infatti gli ex preti non si rendono conto della gravità delle loro azioni, delegando la colpa sempre a terzi: una bambina picchiata e maltrattata viene allontanata dalla suora, che nega l’accaduto e incolpa sua madre di razzismo; molti neonati sono stati venduti dopo aver fatto credere alle rispettive madri di aver partorito bambini morti, altri bambini sono stati abusati…è una triste realtà quella che viene raccontata in Il Club, dove la redenzione è solo un utopia. Nemmeno l’arrivo di padre Garcia, nelle vesti di “inquisitore”, riesce a cambiare lo status quo: sebbene inizialmente le vite dei preti vengano scombussolate, anche quest’ultimo si rivela uno dei tanti “padri della Chiesa” ben lontani da Dio. Perché, nello sguardo registico di Pablo Larrain il Dio tanto profetizzato rimane solo una parola senza significato, rimane nascosto dietro degli animi meschini, senza umanità, seppur irrequieti e drammaticamente soli.
La luce offusca ogni scena, nasconde e isola mentre le inquadrature mettono a nudo i quattro protagonisti, uno ad uno. Ma sembra non esserci lo stesso trattamento con le loro colpe. L’unica vittima costretta a pagare per tutta la vita è Sandokan: uomo distrutto dal passato, potenzialmente capace di destabilizzare semplicemente con la sua presenza, capro espiatorio e vittima di una verità ancora troppo insabbiata, diviene l’elemento col quale gli ex preti devono convivere. Ma tutto ciò non sembra cambiare lo status quo.
Il club vi aspetta al cinema dal 25 febbraio distribuito da Bolero Film.