American Sniper: recensione
American Sniper è un film patriottico, senza se e senza ma, ve lo diciamo subito in modo da avere ben chiara l’idea che nella nuova pellicola di Clint Eastwood Chris Kyle è un eroe, senza dubbi, senza il minimo spazio ad un qualsiasi obiezione. Chris Kyle è un Navy SEAL, reparto speciale dell’esercito americano, inviato in Iraq con una missione precisa: proteggere i suoi commilitoni. La sua massima precisione salva innumerevoli vite sul campo di battaglia e mente i racconti su di lui iniziano a diffondersi viene soprannominato “La Leggenda”. Oltre che tra soldati Usa la sua reputazione si diffonde anche tra le file nemiche e viene messa una taglia sulla sua testa. Ma Chris è un anche un padre e un marito che tenta di bilanciare i suoi ruoli nel modo migliore. Dopo 4 anni di missioni al limite del suicidio Chris torna a casa ma si renderà conto che la guerra è dura da lasciarsi alle spalle.
Clint Eastwood dirige un film tecnicamente perfetto, senza sbavature e stilisticamente incantevole, quello che manca però in American Sniper è la poesia a cui il regista ci ha abituato, i dialoghi raffinati e la capacità di farci riflettere; manca, in sostanza, il rovescio della medaglia. Nella visione di Eastwood Chris è un vero eroe, punto, non c’è altro da aggiungere e a volte l’eccessivo patriottismo diventa forzato e senza senso. Di guerra il buon vecchio Clint ne ha già parlato in Flag of Our Fathers e Lettere da Iwo-Jima presentandoci la battaglia di Iwo -Jima in maniera completa, con un film che parlasse dell’avvenimento visto dagli americani e con il secondo dal punto di vista giapponese, pura poesia capace di far riflettere. American Sniper manca appunto di questo, di una visione equa di una guerra che ha carnefici e vittime da entrambi i lati, è un film al 100% di parte che celebra il punto di vista puramente americano, è pur vero che adattare una pellicola ad un libro biografico che celebra “il più grande cecchino Usa” ha sicuramente ben poco di obiettivo o pacifista, ma dividere in bianco o nero una storia che ha diverse sfumature di colore non ha aiutato bloccando la naturale evoluzione da “bel film” a “capolavoro”. Dopotutto ci viene spiegato all’inizio del film:
Ci sono tre tipi di uomini: le pecore, i lupi e i cani da pastore. I cani da pastore hanno il compito di difendere le pecore dai lupi.
Non importa se il nemico è un cecchino spietato o un ragazzino di 13 anni, ogni pallottola sparata incide di più su chi ha premuto il grilletto che su chi sia morto per lo sparo, dopotutto il film è incentrato sui cani da pastore e sulla loro missione di protezione, gli altri sono solo effetti collaterali e le vittime sono relegati allo status di “bestie”. La pellicola fa eco ai vecchi western in cui l’indiano è necessariamente cattivo e il cowboy assolutamente buono, manca quell’obiettività necessaria in uno script del genere, dove non ci sono vincitori e vinti ma solo vittime, perfino la sindrome post-traumatica di Kyle viene solo accennata e poco approfondita, se non attraverso sequenze poco coinvolgenti che potevano essere studiate meglio per dare un colpo più umano all’intera vicenda. Nonostante tutto, il personaggio di Chris Kyle viene mostrato fragile e dotato di quella giusta dose di sensibilità che è impossibile non empatizzare la vicenda, merito va anche alla recitazione pacata e mai fuori dagli schemi di un bravo Bradley Cooper affiancato dalla sensibilità spiccata di Sienna Miller.