Kung Fu Panda 3 – recensione
Dopo cinque lunghi anni di attesa torna il panda più celebre del grande schermo in una nuova mitica avventura ai confini di Kung Fu.
La storia riprende là dove l’easter egg finale del secondo capitolo ci aveva lasciati: scopriamo infatti che non solo i panda non si sono estinti, ma che vivono in un remoto villaggio della Cina in cui si trova anche il padre (naturale) di Po. Quando la serenità della Valle viene nuovamente messa a repentaglio dal cattivo di turno, questa volta tornato addirittura dal mondo dei morti, è nuovamente Po a dovervi porre rimedio, alzando ulteriormente l’asticella del proprio Kung Fu e superando, de facto, tutti i suoi maestri: dai cinque cicloni, a Shifu, allo stesso Ooguay.
Kung Fu Panda 3 – la nuova avventura del panda Po
Per la produzione di questo capitolo la Dremworks ha messo in campo l’artiglieria pesante, proabilmente reduce dagli scarsi profitti ottenuti in terra cinese. Per questa ragione ha fondato la Oriental Dreamworks, quale trampolino per una solida partnership con compagnie manadrine, e ha riservato alla localizzazione cinese un’intera sessione di animazione, in modo da sincronizzare il labiale con il parlato locale. Anche dal punto di vista del cast sono scesi in piazza nomi di tutto rispetto con Bryan Cranston (Breaking Bad, Trumbo) e J. K. Simmons (Spiderman, Terminator Genisys) ad affiancare i confermati Angelina Jolie, Jack Black, Jackie Chan e (soprattutto) Dustin Hoffman. In effetti tra le voci compare anche l’astro caduto Jean Claude Van Damme, il cui nome, però, annega nel mare dei figli Joile-Pitt: ben quattro quelli assoldati per questa pellicola.
Torna anche l’intero cast tecnico, con Jennifer Yuh alla regia, la produzione di Melissa Cobb, sceneggiatura firmata da Jonathan Aibel e Glenn Berger, e con infine Guillermo del Toro quale produttore esecutivo. Alla colonna sonora anche Hans Zimmer, sempre ottimo nell’evocare la suggestione delle location mostrate.
Squadra che vince non si cambia quindi? Il botteghino sembra dire di sì, con un incasso nel weekend di apertura superiore ai 41 milioni di dollari, tuttavia c’è anche il rovescio della medagia: nulla di nuovo, infatti, sotto il sole della Cina in questo terzo (e certamente non ultimo, dato che sono stati annunciate altre tre pellicole) capitolo: a fronte di un comparto tecnico assolutamente eccelso, reso ancor più spettacolare dal 3D, a fare difetto è sicuramente la sceneggiatura. Gag già viste e già usate, con panda pasticcioni a rotolare per i campi, facendo dello spaparanzo e del (troppo) cibo loro unico stile di vita; infinite scene di lotta che prendono per sfinimento e che, sebbene spettacolari, alla lunga spingono a contare i minuti che mancano; il tutto con una lunghissima parte centrale che si trascina lentamente in attesa del gran finale. Kung Fu Panda 3 è sicuramente un film piacevole, ma non divertente: alle battute (scontate) si era già smesso di ridere nel precedente episodio e se il momento di maggiore ilarità viene concentrato nella battuta “Guarda, anche maestro Pollo entra ad affrontarlo… e lui è un pollo!” la sensazione che il fondo del barile sia stato raschiato diventa preponderante.
La maggior cartina di tornasole sono i bambini presenti in sala a cui, oggettivamente, il film è piaciuto molto ma che non si sono mai lasciati andare alle risate che arricchivano il primo capitolo. La sensazione è quella di un franchise già consumato: se Shrek era riuscito a rinnovarsi senza snaturarsi, Kung Fu Panda risulta invece già logoro, con ben poco da dire e assolutamente incapace di parlare agli adulti, come spesso invece accade coi film di animazione in cui vengono offerte più chiavi di lettura. L’unica lezione di vita (tu sei quello che sei) è totalmente riciclata dal finale del primo film, e anche se qui viene condita con una salsa diversa, risulta a tutti gli effetti la stessa minestra riscaldata.
Occasione sprecata anche per l’importante tematica dei due padri, in cui il confronto e le gelosie tra padre adottivo e padre naturale avrebbero potuto essere maggiormente approffondite, scavando più a fondo nelle psicodinamiche del figlio adottato. Anche qui, purtroppo, tutto si risolve senza conflitto alcuno, con Po che fin da subito fa il salto al “doppio padre” senza difficoltà alcuna.
A non aiutare il tutto, infine, le doti interpretative di Fabio Volo, qui alla sua (ennesima) pessima prova di attore: a fronte degli ottimi doppiatori che lo accompagnano, l’immenso Eros Pagni su tutti, mostra ancora una volta la limitatezza delle sue capacità interpretative, rendendo l’interpretazione piatta e sbagliando di tanto in tanto alcune intenzioni. Considerando che in Italia l’arte del doppiaggio vanta tra i migliori interpreti al mondo, non si capisce ancora l’esigenza di avere nomi di “richiamo” a squalificare il lavoro dell’intera squadra. Sicuramente trattandosi di un terzo capitolo la scelta di cambiare voce sarebbe stata rischiosa, ma forse ne avrebbe guadagnato la qualità generale della localizzazione italiana.