La Macchinazione: recensione del film su Pier Paolo Pasolini
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. L’intento del regista David Grieco è chiaro fin dall’inizio de La macchinazione, che con questa frase di Pier Paolo Pasolini focalizza l’attenzione da una parte sulla sua persona e dall’altra sulla situazione politica italiana. La macchinazione racconta gli ultimi mesi di vita di Pasolini, al lavoro sul suo ultimo romanzo, “Petrolio”, rimasto incompiuto, e sul film Salò o le 120 giornate di Sodoma. Pasolini è costantemente pedinato dai servizi segreti, poiché incontra colui che aveva pubblicato un libro, subito ritirato, in cui denunciava Eugenio Cefis, l’uomo dell’ENI, della Montedison e della P2, che sarebbe diventato il protagonista del suo “Petrolio”. Ma non solo. Il rapporto di Pasolini con il giovane Pino Pelosi, sempre considerato l’unico colpevole dell’assassinio, viene dipinto da Grieco insieme ai personaggi che, secondo la teoria del complotto che il regista stesso vuole rimettere in luce, acquistano sempre meno un ruolo di contorno: «il suo assassinio è stato pianificato nei minimi particolari da tanti complici volontari e involontari, tutti uguali e tutti ugualmente colpevoli» (come recita la sinossi del film).
La macchinazione: un omaggio a Pasolini per gettare luce su una verità, ma non riuscito completamente
Nei panni di Pier Paolo Pasolini c’è Massimo Ranieri, scelto non solo per la straordinaria somiglianza, ma anche per il suo grande talento come attore, ed è infatti l’unico che, di gran lunga, spicca sugli altri. La sua interpretazione è credibile e sentita, così come gli intenti del regista, fin dall’inizio della sua carriera vicino a Pasolini. Intervenuto durante il processo a Pelosi – che non svelò mai l’identità di alcuni ‘ignoti’ – Grieco continuò a onorare la memoria di Pasolini, arrivando a mostrare, ne La Macchinazione, il piano di uccidere l’intellettuale, ordito da un gruppo vicino alla mafia che usò addirittura due Alfa GT come depistaggio.
La sensibilità della sceneggiatura (alla quale ha lavorato il professor Guido Bulla, scomparso poco prima di vedere il film terminato), alla quale si lega un montaggio che, molte volte, privilegia i primissimi piani di Massimo Ranieri, va però a scontrarsi con un risultato che, benché ricco di elementi ricercati e ricostruiti con cura, fatica a coinvolgere lo spettatore nel complesso. Sono poche le scene in cui riesce ad attivarsi un processo d’empatia – succede più che altro nel finale, durante il massacro di Pasolini; interessanti i momenti che vedono il protagonista al lavoro sui suoi appunti per “Petrolio”, caratterizzati da un effetto di bianco e nero (simile alla stampa di un giornale) che gradualmente colora la scena, quasi a simulare dei materiali d’archivio; decisamente grossolani, invece, i pochi effetti speciali. Il film resta abbastanza piatto anche dal punto della recitazione che, escludendo come già si accennava Massimo Ranieri e aggiungendo Roberto Citran (Giorgio Steimetz) e, in parte, Libero De Rienzo (Antonio Pinna), non raggiunge un livello alto, anzi risulta anche molto difficile da seguire per chi non mastica il romanesco.
A dare una maggior densità all’effetto finale è la colonna sonora: i Pink Floyd hanno concesso alla produzione di usare la suite di Atom Heart Mother, celebre e straordinario successo degli anni ’70, che segue il film disegnando eteree sensazioni.
La Macchinazione è coprodotto dalla francese To Be Continued Production «perché Pasolini merita di essere celebrato e raccontato con un film in grado di superare le nostre frontiere come del resto tutte le sue opere letterarie e cinematografiche». Questi sinceri intenti, purtroppo, sono andati a incedere sul film causandone una visione a tratti disagevole. La macchinazione sarà distribuito da Microcinema dal 24 marzo.