Room: recensione da letto del film con Brie Larson
LEI: Room, film potente e delicato in cui Brie Larson è brava ma non è la cosa migliore
LUI: spettatore attirato dall’Oscar a Brie Larson
– Buon dio, Room. Non sei un film che ci va leggero, eh?
– Eh, no. Ma almeno non ti sei annoiato, vero? Dimmi la verità: sei venuto a vedermi solo perché Brie Larson ha vinto l’Oscar, vero?
– …
– Dai, puoi dirmelo.
– Ok, è vero. Se non fosse stato per l’Oscar ti avrei messo nel cassetto dei “film interessanti che dovrei guardare” ma poi probabilmente mi sarei dimenticato di te. E sarebbe stato un peccato.
– Direi anch’io. Brie Larson ti è piaciuta, almeno?
– Mi è piaciuta, certo. E prima che fosse la tua protagonista non avevo idea di chi fosse. Però, con tutto il rispetto per Miss Larson, non è la cosa che ho apprezzato di più.
– Ah no?
– Brie Larson dà un’ottima prestazione, ma sicuramente deve dividere il merito con Jacob Tremblay, protagonista e narratore. È lui che fa la differenza, Room.
Racconti la storia di una ragazza che viene rapita e tenuta prigioniera in un’unica stanza per anni, abusata dal suo rapitore…
– Beh, se la metti così sono proprio un film pesante.
– Ma non sei un thriller, è questo il punto. Racconti l’esperienza della prigionia dal punto di vista del figlio della ragazza, Jack, che è nato e cresciuto nella stanza e non ha mai conosciuto il mondo esterno se non attraverso una vecchia televisione, qualche libro e gli occhi della madre, che cerca di crescerlo in maniera decente nonostante la situazione estrema in cui si trovano. La realtà distorta che lo circonda viene codificata tramite un “lessico familiare” e una mitologia che include gli oggetti come cucchiai, sedie e armadi. Lo stesso rapitore, attraverso le spiegazioni della madre, diventa una figura quasi fiabesca.
– Bravo, finora ci hai preso.
– Sicuramente gli attori, e soprattutto l’alchimia tra i due protagonisti, sono un tuo punto di forza. E lo stesso vale per la regia dell’irlandese Lenny Abrahamson, che è la perfetta estensione visiva della storia: riprende la stanza come uno spazio irreale, alternando una profonda analisi delle emozioni dei personaggi a momenti di suspense quasi insostenibile.
– Concordo. Anche quando nella mia inquadratura c’è solo il cielo, è come se anche lo spettatore lo vedesse per la prima volta.
– È questa la cosa che mi è piaciuta di più, Room. Riesci a descrivere il mondo con gli occhi di un bambino di cinque anni, sia il mondo dentro la stanza sia quello di fuori. E grazie al cielo non tenti mai di buttarci dentro una morale, una qualche critica al consumismo o alla società odierna. Mantieni la tua purezza e la tua coerenza fino alla fine.
– Grazie, dolcezza. Penso sia merito di Emma Donoghue: è la mia sceneggiatrice, ma ha pure scritto il romanzo da cui sono tratto. Non mi è venuto difficile essere coerente.
– Tanto di cappello a lei e anche a te. Però ora devo scappare…
– Perché? Che succede?
– Niente, sono stato benissimo. Ma mi hai fatto ricordare che è da un po’ che non passo a salutare la mia vecchia mamma…