Nymphomaniac: recensione
Uscito in Italia il 3 e 24 Aprile 2014, l’ultima fatica di Lars Von Trier, Nymphomaniac, è un film da analizzare attentamente sia per tematiche che per contesto. Già dal titolo si comprende di cosa tratterà la storia; una fredda sera d’inverno l’anziano scapolo Seligman trova Joe in un vicolo, è stata picchiata selvaggiamente. La porta a casa sua, e cerca di curarla, chiedendole nel frattempo informazioni sulla sua vita. Ascolta così il racconto, suddiviso in otto capitoli, della sua complicata e lussuriosa esistenza, ricca di coincidenze fortuite e collegamenti con culture antiche e varie pratiche pseudo-esoteriche.
Trier chiude con charme e disinvoltura la triade della depressione, cominciata nel 2009 con Anti-Christ, proseguita con Melancholia e terminata con questi due volumi. La storia è fredda e diretta, la partecipazione è scarsamente emotiva ma altamente erotica. Chiariamo, non è un porno, ma un film a chiare lettere drammatiche. L’eros è rappresentato più come congiunzione del freudiano Thanatos che come furor sessuale. Durante il flashback storico narrativo, assistiamo ad una lenta catabasi della protagonista, arrivando a toccare vette ove il piacere cessa di esistere per lasciare spazio al dolore. Ma è il dolore stesso a fondersi con il piacere della gozzoviglia sessuale, fino a lasciare macchie indelebili sulla carne vissuta e macellata dall’azione erosiva della follia genitale. Un film che fa già discutere e lo farà per molto tempo. Non passerà di certo inosservato agli occhi di coloro che non sanno intravedere la flebile linea di demarcazione tra la sessualità e la carnalità estrema. DA VEDERE ASSOLUTAMENTE.