Birdman (o le imprevedibili virtù dell’ignoranza): recensione
Presentato in anteprima mondiale alla 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, come film di apertura, Birdman s’impone già come dominatore ai prossimi premi (Golden Globes e Oscar in primis), che ci saranno da qui a fine febbraio.
La storia è incentrata sulla vita di Riggan Thomson (Michael Keaton), attore conosciuto per aver interpretato in passato Birdman, un supereroe alato, personaggio ammirato dal pubblico.
Riggan cerca di riscattarsi, ridando un senso alla sua vita di attore e con ciò desidera imporsi anche sul palcoscenico di Broadway, per dimostrare come la sua vita di attore non sia per nulla finita.
Riggan propone, quindi, una riscrittura personale di What We Talk About When We Talk About Love, dramma di Raymond Carver, facendo i conti senza l’oste: non si rende conto di come sia impegnativo dare luogo ad una realizzazione teatrale, per il fattore realismo (nei limite del possibile), senza poter usare i mezzi magici del cinema.
Insomma, Riggan ha voluto la bicicletta e ora deve pedalare e, come se non bastasse, deve anche discutere con il suo alter ego, lo stesso Birdman: quel personaggio è diventato totalmente parte di lui, concedendogli poteri di controllo che nella vita reale non esistono.
La storia di Riggan prende in considerazione uno dei più difficili problemi di un attore: dimostrare di essere poliedrico e scrollarsi di dosso il personaggio che gli ha dato il potere di essere famoso e (purtroppo) di essere ricordato solo per quello.
La faccenda per Riggan si complica quando Mike Shiner (Edward Norton), attore di un certo rilievo, cerca di impossessarsi, senza molte cerimonie, del controllo dello spettacolo, mettendo a disagio anche gli altri attori.
Riggan è dilaniato dallo stress dell’accontentare i suoi collaboratori che si fidano di lui (come l’amico e produttore dello spettacolo Brandon Vander Hey – Zach Galifianakis), dal cercare di tenere a bada Birdman, e dal sentirsi vomitare addosso contestazioni da parte della sua unica figlia, Sam (Emma Stone), appena uscita dal tunnel della droga e decisa a fargli capire quanto non sia stato un buon padre.
Anche se ogni tanto il film sembra dare dei segni di cedimento (sostenere un’impalcatura qualitativa di un certo tipo per 2 ore circa è abbastanza pesante), la pellicola nel complesso è molto valida.
Il regista di Babel e 21 Grammi, dà luogo ad un lavoro brillante, con una regia dominata da staycam e handycam che, dando luogo a lunghi piano sequenza, dà modo di concentrarsi molto sull’espressività dei volti, facendo risaltare la comunicazione non verbale.
I dialoghi sono intensi, come forse non si vedeva da un po’ (la sceneggiatura è curata dallo stesso Iñárritu), ma dai tratti anche molto volgari, di cui, volendo, si poteva fare anche a meno (negli Usa il film è stato vietato ai minori di 17 anni).
La trama, di fatto, non sembra avere una vera e propria fine, come se la pellicola avesse quasi la pretesa di continuare la storia in un sequel.
Eccelse sono le interpretazioni di Michael Keaton e Edward Norton, che dimostrano ancora una volta la loro elevata tecnica recitativa, insieme a Naomi Watts che si dimostra ancora ben presente sulle scene, ed a Zach Galifianakis, che si fa notare con una sfaccettatura diversa da quelle viste finora, mentre Emma Stone, a parte qualche scena clou, trasmette emotivamente ben poco.
La scenografia è perfetta per quello che è una commedia e un dramma allo stesso tempo ( si potrebbe definire un cinecomic versione dark), dove Iñárritu ha voluto che gli attori si cimentassero in tutto e per tutto con il loro personaggio.
Birdman o (Le imprevedibili virtù dell’ignoranza) è diretto e prodotto da Alejandro González Iñárritu, con Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts, Zach Galifianakis, Andrea Riseborough e Amy Ryan, ed uscirà nelle nostre sale il 5 febbraio.