La Conversazione: recensione del film di Francis Ford Coppola
Un clima di tensione dipinto a tinte noir: questo il contesto in cui si sviluppa La Conversazione, film del 1974 scritto, diretto e prodotto da Francis Ford Coppola, vincitore della Palma d’oro per il miglior film al Festival di Cannes 1974 e candidato all’Oscar come miglior film nel 1975.
La Conversazione è una storia di spionaggio telefonico a tutto tondo, in cui però la forte connotazione di disagio socio-antropologico del protagonista funge da scatola agli eventi della narrazione. Harry Caul – il protagonista esperto di investigazioni ed intercettazioni – è interpretato qui da Gene Hackman, mentre, tra gli altri, troviamo Harrison Ford in una delle prime apparizioni cinematografiche e un cameo di Robert Duvall – non citato nei titoli del film.
La conversazione – “Non ho paura della morte. Ma ho paura dei morti.” (Harry Caul)
La pellicola, che ha avuto un buon riscontro dalla critica, non ha ottenuto all’epoca della distribuzione una buona risposta dal pubblico, ma nonostante ciò rientra a pieno titolo nei classici del cinema pur rappresentando per la carriera del regista un punto fermo, non sintomo di una innovativa tensione creativa. La Conversazione, inoltre, ha attribuito la giusta fama a Gene Hackman poiché gran parte del peso, non solo attoriale ma oltremodo strutturale, è gestito dalla sua interpretazione e perché il personaggio è scritto così bene che forse rivela le mancanze narrative di tutto il resto del film.
Andiamo con ordine: la vicenda si snoda intorno alla registrazione, da parte di Harry de “la” conversazione di due giovani che camminano in una piazza di San Francisco. Questo lavoro, difficile e tecnicamente impegnativo, non riesce a rasserenare il detective, che piomba in un turbamento emotivo e comincia a temere per l’incolumità dei due intercettati. Inizia così un percorso delirante e catartico che lo porterà in situazioni nelle quali un professionista equilibrato come lui non avrebbe dovuto spingersi. In quasi tutto il film il confine tra dimensione reale e incubo/sogno del protagonista è labilissimo, portando anche lo spettatore in momenti di totale immedesimazione. La vera immedesimazione però, quasi certamente, è quella del regista stesso, è lui Harry, con tutto il peso della propria ‘missione filmica’, importante al pari di quella ‘investigativa’.
Elemento vincente dell’opera è l’appropriato equilibrio che viene conferito agli elementi che girano intorno alla vita di Harry, a partire da Ann, fino alla nevrotica ossessione per il sassofono e la musica jazz.
Il film, altro elemento da non sottovalutare specialmente a posteriori, è uscito a ridosso dello scandalo Watergate, anzi se ne è fatto anticipatore, ponendo però il preciso riferimento contemporaneo in chiave critica, essenziale e fatalistica.
A prescindere dai riferimenti alla storia del cinema – Coppola stesso ha dichiarato di aver subito l’influenza di Blow Up di Michelangelo Antonioni – la sceneggiatura così come la vediamo in pellicola ha pregi e criticità non comparabili a nessun altro film, in particolare lascia ampio spazio alla statica solitudine dell’investigatore, riducendo lo spettatore e subire psicologicamente i suoi evidenti problemi.
Dove però il film perde, allo stesso tempo guadagna: le immagini e le parole della narrazione vincono con grande forza grazie all’elemento sonoro – affidato a Walter Murch – con il quale tutto viene reso fluido ed esplicito, in cui il sentimento e l’emozione dei personaggi scavano al di sotto della superficie, rendendo lo schermo un filtro leggero.
La Conversazione rimane la storia e l’analisi di un uomo e delle proprie inquietudini derivanti dal sistema e dalla scelta di farne parte che ti si ritorce contro, lasciandosi invadere dai suoi drammi.