Il Libro della Giungla: recensione del live action Disney
Un bambino, una giungla, degli amici fidati ed un ritornello orecchiabile, lo stretto indispensabile ed Il libro della giungla è pronto a tornare.
Trovato in tenera età nel cuore oscuro dell’insidiosa giungla dalla pantera Bagheera, l’umano Mowgli (Neel Sethi) viene allevato dai lupi e cresciuto da loro come membro del branco. Veloce ed agile come un animale ed allo stesso tempo capace di trucchetti che solo un uomo può realizzare, la vita tra gli alberi di Mowgli viene messa in serio pericolo dalle terribili minacce di Shere Khan, tigre dalla natura violenta e desiderosa di vendetta contro quegli uomini che un tempo sfregiarono il suo volto. Costretto dunque ad allontanarsi per tornare a quel villaggio di umani di cui nemmeno ha ricordo, il giovane Mowgli percorrerà una serie di selvaggi sentieri, incontrando sulla sua strada scimmie sovrane, enormi elefanti ed ipnotici serpenti, senza dimenticare l’amicizia che instaurerà con un simpatico scansafatiche, l’orso Baloo.
Il libro della giungla – tra passato e tecnologia del futuro
Effetti digitali all’avanguardia e memorie del passato per l’ultimo live-action della Disney Il libro della giungla, regia di Jon Favreau che ci convoglia in un viaggio tra i mille misteri della natura governata dal regno animale, con un palpabile richiamo all’originale cartone del 1967 e l’espressione del più alto potenziamento della tecnologia cinematografica. Di tutte le storie raccontare sulla giungla, mai nessuna fu più straordinaria di quella del cucciolo di umano che seppe unire l’intera foresta tropicale, un bambino che rotola tra la polvere ed ondeggia tra i rami, che ebbe per migliori amici una riservata pantera ed un curioso orso, che affrontò l’ira di una spietata tigre e conquistò il rispetto degli onorevoli elefanti. Come il rampicante avvolge l’albero, così la legge avvolge la giungla, ed è la legge stessa ad impedire a Mowgli di rimanere in quella terra che da anni sente essere la sua casa. Il bisogno di stare non insieme ai suoi simili per aspetto, ma ai suoi simili per affinità, è pressante nel cucciolo che agli uomini preferisce i lupi; il riconoscere negli animali che lo circondano un medesimo spirito che li accomuna, eppur tener conto di dover partire dopo l’irremovibile minaccia di Shere Khan. Ma sradicare le proprie radici è impresa ardua per chiunque, soprattutto per un bambino che dopo l’incontro con un pigro orso, poco prima del suo arrivo al futuro villaggio, canta canzoni sulla bella vita ed escogita modi per poter conservare il miele.
Ti bastan poche briciole, lo stretto indispensabile…
Effetti visivi curati fin nei minimi dettagli per un film in tutto e per tutto specchio dell’originale fiaba Disney con i suoi personaggi iconici, dal sinuoso serpente Kaa accompagnato da melodie esotiche in sottofondo, al mostruosamente grande gigantopithecus Re Luigi, ricoperto di preziosi e papaya. Anche la colonna sonora rimane immutata, nuovamente opera di Richard M. Sherman, autore e compositore dei testi nel lontano 1967 insieme al defunto fratello Robert: l’allegria di poche note indispensabili per dimenticare i malanni, le quali hanno il potere di far riaffiorare un briciolo di infanzia e al contempo catturare chi per la prima volta si ritrova ad ascoltare un tal famoso motivetto.
Assodata l’assente innovazione della storia, basata sulla sceneggiatura di Justin Marks e ovviamente ispirata al soggetto dello scrittore Rudyard Kipling, Il libro della giungla non perde la fascinazione del mondo animale e vegetale che si spalanca generoso all’uomo, ponendosi come un live-action azzeccato con un delizioso giovane protagonista ed un lavoro sulle immagini strabiliante, enfatizzato da un ottimo 3D che ne risalta il risultato. Doppiatori d’eccezione sia per la versione originale (Bill Murray, Ben Kingsley, Idris Elba, Scarlett Johansson, Giancarlo Esposito, Lupita Nyong’o) che italiana (Toni Servillo, Neri Marcorè, Violante Placido, Giovanna Mezzogiorno, Giancarlo Magalli): voci che riescono a caratterizzare al massimo le personalità dei loro selvatici animali, proponendo così all’intera opera una fruizione più intensa.
Perché in fondo “Basta il minimo, sapessi quanto è facile” trovar quel che basta per creare un buon film d’intrattenimento.