Dalla Sicilia a Hollywood: la strepitosa carriera di Al Pacino
Io credo che si reciti solo nella vita, mentre nell’arte si persegue solo la verità.
Al Pacino
Quando ci si appresta a parlare di Al Pacino, ci si rende immediatamente conto che è assurdo anche solo pensare di condensare in poche righe la sua vita e la sua carriera. Oggi infatti non parliamo di un qualsiasi interprete di talento, ma di una vera e propria colonna portante della Settima Arte, che ne ha attraversato quasi 50 anni di storia imponendosi come uno dei migliori attori di sempre, regalando al mondo personaggi da antologia protagonisti di storie indimenticabili.
La leggendaria carriera di Al Pacino
Inutile snocciolare cifre e statistiche, perché i numeri possono solo svilire la storia di Alfredo James Pacino, che racconta di come un ragazzo nato nel 1940, che non ha mai rinnegato le proprie origini italiane (i nonni paterni erano di San Fratello in provincia di Messina e quelli materni di Corleone), sia riuscito a superare una difficile giovinezza, fatta di piccola criminalità e lavoretti per tirare a campare, per poi conquistare con le unghie e con i denti un posto al sole nel campo della recitazione, raggiungendo i più prestigiosi riconoscimenti per cinema, televisione e teatro, compreso quel tanto agognato Oscar, che vergognosamente gli è stato conferito soltanto a 53 anni di età.
Gli esordi e il grande successo de Il padrino
Dopo una piccola parte d’esordio in Me, Natalie (1969) e il primo ruolo da protagonista nel discreto Panico a Needle Park (1971), Al Pacino entra nella storia del cinema dalla porta principale con Il padrino (1972), che insieme al seguito Il padrino – Parte II (1974) gli permette di essere diretto da un maestro come Francis Ford Coppola e di condividere il set con altri attori eccezionali come Marlon Brando, Robert De Niro, Robert Duvall, Diane Keaton e l’amico John Cazale. Il suo Michael Corleone è un personaggio indimenticabile per ogni cinefilo, che nell’arco di due film passa dall’essere un giovane e inesperto figlio, cresciuto con amore e rispetto del padre boss mafioso, al prendere il posto del genitore a capo dell’organizzazione criminale, trasformandosi in un cinico e spietato gangster. Al Pacino ha così modo di dimostrare le sue doti nel tratteggiare i personaggi e nel rendere un’ampia gamma di emozioni e sfumature, giustificando così il suo ingaggio a sorpresa, a discapito di colleghi più quotati, dovuto proprio alle sue origini siciliane, a cui, in un curioso incrocio fra arte e vita reale, l’attore si ricongiunge visitando proprio quella Corleone terra natia dei nonni materni. Nel 1973, fra i primi due memorabili episodi de Il Padrino, il giovane attore ha modo di cimentarsi anche a fianco di Gene Hackman nell’ingiustamente dimenticato Lo spaventapasseri (1973), vincitore come miglior film a Cannes, e nel capolavoro di Sidney Lumet Serpico, in cui presta il proprio volto al toccante racconto di una storia vera di corruzione all’interno della polizia di New York.
Da Quel pomeriggio di un giorno da cani a Scarface: i tanti volti di un attore poliedrico
Arriva nel 1975, nuovamente per la regia di Sidney Lumet e a fianco di John Cazale, una delle migliori interpretazioni di tutta la carriera di Al Pacino, ovvero quella dello stralunato rapinatore di banche Sonny Wortzik in Quel pomeriggio di un giorno da cani, altra pellicola ispirata a un fatto di cronaca realmente avvenuto. L’attore dà il suo meglio nei panni di un antieroe per cui lo spettatore non può fare a meno di parteggiare, che nel corso del film rivela anche un lato umano e sentimentale diametralmente opposto alla figura del criminale. Grazie alla sua prova per Al Pacino arriva la quarta nomination all’Oscar consecutiva, che neanche in questo caso si trasforma in statuetta solo a causa dell’altrettanto strepitosa performance di Jack Nicholson nel pluripremiato Qualcuno volò sul nido del cuculo. Seguono quindi quattro film in cui l’attore si cimenta nei generi e nei ruoli più disparati: pilota di Formula 1 in Un attimo, una vita (1977) di Sydney Pollack, avvocato contro il sistema in …e giustizia per tutti (1979) di Norman Jewison (per il quale conquista una quinta nomination all’Oscar), poliziotto infiltrato in Cruising (1980) di William Friedkin e anche padre casinista e combinaguai nella commedia sentimentale Papà, sei una frana (1982). È invece nel 1983, con Scarface di Brian De Palma, che l’attore consegna alla storia del cinema un altro gangster indelebile nella memoria degli appassionati, il cubano Tony Montana. Al Pacino si supera nuovamente, dipingendo la figura di un altro malavitoso completamente diverso da Michael Corleone, protagonista di una splendida parabola sull’ascesa e sull’inevitabile caduta nel mondo del crimine. Un vortice di droga, brutalità e violenza che trova la sua massima espressione nello strepitoso finale, che consegna per sempre alla storia una pellicola ancora oggi adorata dai cinefili di tutte le età e fonte di ispirazione per innumerevoli gangster movie successivi.
La seconda metà degli ’80 e l’inizio dei ’90 con il tanto desiderato Oscar
Nella seconda metà degli anni ’80, Al Pacino rallenta i propri ritmi lavorativi, prendendo parte solamente al film storico Revolution (1985) e al dimenticabile thriller Seduzione pericolosa (1989). Con l’arrivo dei ’90 invece l’attore dimostra nuovamente tutta la sua poliedricità e la sua voglia di sperimentazione prendendo parte a progetti di vario tipo: The Local Stigmatic (1990), prodotto da lui stesso e basato sull’omonima piece di Broadway, il cinecomic Dick Tracy (1990), che gli procura un’altra nomination all’Oscar, Il padrino – Parte III (1990), con cui conclude la saga dei Corleone, il film romantico Paura d’amare (1991), in cui dopo Scarface lavora nuovamente con Michelle Pfeiffer, e il sottovalutato Americani (1992), in cui si presta a un racconto di chiara impronta teatrale, lavorando al fianco di altri mostri sacri come Jack Lemmon, Kevin Spacey, Alan Arkin ed Ed Harris e vedendo sfumare per la settima volta l’atteso Oscar. La tanto attesa statuetta fortunatamente arriva, anche se con colpevole ritardo, grazie a Scent of a Woman (1992), rifacimento americano di Profumo di donna di Dino Risi, in cui Al Pacino convince proprio tutti nei panni del colonnello in pensione Frank Slade, rendendo alla perfezione il suo carattere burbero e la sua cecità e conquistando il cuore di critica e pubblico con un memorabile monologo nella fase finale della pellicola.
Da Carlito’s Way a Ogni maledetta domenica
Pur amando diversificare e battere nuove strade, è ai gangster movie che Al Pacino ha legato indissolubilmente la propria carriera. Non stupisce così che un’altra delle migliori performance dell’attore di origini italiane arrivi nel 1993 da un’altro film di questo genere, ovvero Carlito’s Way, nuovamente per la regia di Brian De Palma. Anche questo malavitoso è completamente differente dagli altri interpretati precedentemente da Pacino: romantico, disincantato, malinconico e quasi rassegnato nel vedere la propria vita tormentata da un passato da cui non riesce a prendere le distanze. Una sorta di sequel ideologico di Scarface, che anche grazie alla memorabile prova di Sean Penn si rivela un’altra strepitosa riflessione sul mondo della criminalità, che tocca il proprio apice in un’indimenticabile e desolato finale, fra le migliori scene della carriera del nostro. A seguire per Al Pacino arrivano Un giorno da ricordare (1995) di James Foley, ambientato durante la Grande depressione, le collaborazioni con il regista emergente Michael Mann prima in Heat – La sfida del 1995, in cui si confronta con l’amico e rivale di sempre Robert De Niro, e poi nel 1999 con Insider – Dietro la verità, City Hall (1996) di Harold Becker, in cui interpreta il sindaco di New York, la sua prima prova alla regia con Riccardo III – Un uomo, un re (1996), documentario su un suo adattamento dell’opera di Shakespeare, l’altro gangster movie Donnie Brasco (1997), in cui fa da mentore nel mondo della criminalità organizzata a un giovane Johnny Depp, e l’ottimo L’avvocato del diavolo (1997), in cui al fianco di Keanu Reeves e Charlize Theron dimostra ancora una volta il suo carisma e la sua versatilità nel difficilissimo ruolo del Diavolo in persona. Il nostro conclude poi lo scorso secolo lavorando con un altro formidabile cineasta come Oliver Stone in Ogni maledetta domenica (1999), altra meravigliosa pellicola in cui interpreta un allenatore di football americano di mezza età in uno splendido parallelismo fra sport e vita. Nelle battute finali, Al Pacino dà inoltre il meglio di se stesso in uno dei monologhi più celebri e citati della storia del cinema, che vi proponiamo di seguito con la voce del grande Giancarlo Giannini.
Dal 2000 a oggi, fra cinema e televisione
Negli ultimi anni Al Pacino ha continuato a diversificare le proprie interpretazioni, non raggiungendo però, almeno in ambito cinematografico, le vette toccate in precedenza. Fra le produzioni ad alto budget, meritano comunque una citazione Insonnia (2002) di Christopher Nolan, in cui si è misurato con il disturbo del sonno che lo ha spesso afflitto anche nella vita reale, La regola del sospetto (2003) con Colin Farrell, Ocean’s Thirteen (2007) di Steven Soderbergh, terzo capitolo della saga della squadra di furfanti capitanata da George Clooney, e Sfida senza regole (2008) di Jon Avnet, ancora al fianco di Robert De Niro. In mezzo, gli interessanti esperimenti di Chinese Coffee (2000), S1m0ne (2002), Il mercante di Venezia (2004), Wilde Salome (2011), Uomini di parola (2012), The Humbling (2014), Manglehorn (2014), La canzone della vita – Danny Collins (2015), ma anche i dimenticabili People I Know (2002), Rischio a due (2005) e The Son of No One (2011). Il nostro ha inoltre ricevuto lo smacco di ben due candidature ai Razzie Awards, i celebri “Oscar al contrario”, per le sue partecipazioni in Amore Estremo e Jack e Jill, conquistando anche il temuto riconoscimento per quest’ultimo. Durante questi anni di leggero calo in ambito cinematografico, Al Pacino ha compensato con una sempre intensa attività teatrale e con grandi successi in ambito televisivo, partecipando a progetti di altissimo profilo come Angels in America (2003), You Don’t Know Jack – Il dottor morte (2010) e Phil Spector (2013), che hanno riscosso grande consenso di critica e pubblico, portando il nostro a ricevere importanti riconoscimenti del settore come Golden Globe ed Emmy.
Al Pacino: un’artista a tutto tondo, sempre fedele all’arte e alla propria voce interiore
Anche se possiamo pensare che i suoi film contengano diversi spunti autobiografici, conosciamo ben poco della vita privata di Al Pacino, personaggio da sempre schivo e riservato, fuori dal giro dei social e della mondanità. Quello che sappiamo lo abbiamo potuto apprendere ai margini di interviste relative ai suoi film o di sue partecipazioni a festival o altri eventi che mettano al centro il cinema e l’arte, per cui si è dimostrato sempre disponibile. L’abbandono in tenera età da parte del padre, che ha con ogni probabilità influenzato tutta la sua vita, una gioventù passata sulla strada con frequentazioni poco raccomandabili, che gli ha sicuramente fornito materiale per interpretare i malavitosi protagonisti di tante sue opere, un rapporto fallimentare con la scuola, un carattere turbolento e un grande spirito di adattamento alle condizioni più umili per sopravvivere. Una lunga serie di relazioni confermate o presunte (Beverly D’Angelo, Diane Keaton, Penelope Ann Miller, Madonna, Lucila Solá), tre figli, nessun matrimonio. Una coerenza verso se stesso e le proprie idee che lo ha portato a rifiutare ruoli in film di grande successo come Star Wars, Pretty Woman, Apocalypse Now, I soliti sospetti (suo più grande rimpianto), Taxi Driver, Kramer contro Kramer e Incontri ravvicinati del terzo tipo. Uno stile di vita discreto e tranquillo, fatto di tanta lettura e un amore smisurato per il teatro e per l’opera. Forse è anche per questo suo essere l’esatto contrario dello stereotipo della star schiava dei capricci, dei vizi e del non necessario che Al Pacino ha saputo toccare le corde del cuore degli appassionati e guadagnarsi la stima e il rispetto dei colleghi e degli addetti ai lavori, dai quali difficilmente sono uscite parole poco gentili nei suoi confronti. Dal canto nostro, non possiamo fare altro che attendere di vedere ciò che questo fuoriclasse della recitazione ha ancora in serbo per noi e rivivere quando ne abbiamo l’occasione la sua incredibile carriera, fatta di personaggi veri e tridimensionali, di antieroi squallidi e imperfetti ma non per questo meno affascinanti e di storie universali che ci toccano il cuore e che hanno contribuito a farci innamorare di un grande sogno a occhi aperti chiamato cinema.