Paolo Virzì, che “pazza gioia” essere un commediante

La prima cosa bella di Paolo Virzì: essere un bravo commediante. Forse l’ultimo, puro, in Italia. Un regista conosciuto in tutto il mondo, per aver catturato l’attenzione di un pubblico grande, misto e variegato. È uno dei pochissimi che sarà al Festival di Cannes (11-22 maggio 2016, con La pazza gioia), anche se non nella selezione principale. Il primo a incoraggiare il giovane Paolo Virzì fu Vittorio Cecchi Gori che negli anni ha individuato e spinto più di un “nuovo” talento italiano.

Guida all’ultimo commediante all’italiana

Virzì è uno dei cineasti più interessanti del nostro Paese. Commediante ironico, ma sempre impegnato in una produzione cinematografica “rivoluzionaria” e di impegno civile. Negli anni ha saputo ricostruire con occhio critico un’Italia invasa dal malessere, sempre con uno sguardo attento alle sfumature, da ridere o da piangere. In ogni suoi film sono delineati ritratti sociologici di personaggi vicini al reale come casalinghe, insegnanti, famiglie aristocratiche, donne in difficoltà, bambini malinconici. È la precarietà della vita a rendere la sua regia, e delle volte la sua scrittura, specchio della quotidianità. Sono il senso del ridicolo, l’arroganza, l’infelicità le grandi qualità del suo cinema. Piccolo storie contaminate di tratti romanzeschi, come La prima cosa bella o Il capitale umano.

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Paolo Virzì tra riflessioni e disillusioni, è uno dei pochi a restare legato alla “vecchia” commedia, quella all’italiana, quella che abbiamo ereditato e che ci invidiano in tutto il mondo. Un regista e un uomo fedele alla penna dei suoi compagni: Francesco Bruni e Francesco Piccolo. Insieme a questi due sceneggiatori, tra i più lucidi del nostro tempo, parte sempre da un’Italia provinciale, lontana dal finto mito della globalizzazione, innocente e desiderosa di “lottare” per la conquista. Un’Italia vera, a volte innamorata altre confusa, a volte ferocemente e intransigente, altre viziata e ignorante.

Tre film per “conoscere” bene ed entrare in intimità con il cinema di Paolo Virzì:

Ovosodo (1997). Il protagonista è Piero, detto Ovosodo perché nato nell’omonimo quartiere di Livorno – la città di Virzì. È un ragazzo curioso della vita, ma un po’ debole. Partecipa passivamente a tutto quello che gli propongono gli amici, in particolare un nuovo compagno di classe. Un ragazzo dall’aria alternativa e rivoluzionaria, uno di quelli contro il sistema ma in realtà figlio di un ricco industriale. Tra amore e politica, la sua storia è narrata con voce fuori campo, in toscano, e rispetta la debolezza di un giovane di periferia con nel cassetto qualche sogno, forse, da realizzare.

Caterina va in città (2003). Il film che consacra Virzì come “cantore” della nostra società, cinico e leggero al tempo stesso. Caterina, tredicenne figlia di un professore di filosofia fallito e di una casalinga repressa, lascia la provincia con la famiglia e si trasferisce a Roma. Giovane ma determinata, si inserisce con disinvoltura nella vita della “metropoli”, divisa fra l’amicizia con la figlia di un sottosegretario fascistoide e la figlia di due bizzarri sinistroidi. Una commedia a sfondo sociale, il genere che più gli appartiene.

Tutti i santi giorni (2012). Protagonista un attore molto osannato negli ultimi mesi, il Luca Marinelli di Non essere cattivo e Lo chiamavano Jeeg Robot. È qui Guido, una persona gentile e dotta. Appassionato di lingue antiche e del passato storico, di notte lavora come portiere d’albergo. È imbranato e fuori dagli schemi, ma innamorato pazzo di Antonia, che sveglia ogni santo giorno col caffè, due cucchiai d’amore e la spiegazione di santi, eroi e martiri. Antonia è impiegata in un autonoleggio ma al tempo stesso continua a coltivare il suo talento per la musica e ricambia l’amore travolgente di Guido. Qui non manca la precarietà della vita e la voglia incessante di condivisione tra affanni e desideri, tra tutti un bambino che non arriva.