Basta che funzioni: recensione
Il tanto atteso “ritorno a casa” di Woody Allen , nella amata ed idolatrata New York, dopo quattro film dal sapore tutto europeo come Match Point, Scoop, Sogni e delitti e Vicky Cristina Barcelona, non poteva che essere sancito da una irriverente e scoppiettante commedia all’insegna del malumore e del cinismo, dalla quale emerge una visione disincantata e profondamente amara della vita e della misera esistenza umana, che si riduce ad un essenziale e quanto mai consolante “basta che funzioni”.
Basta che Funzioni (2009), scritto e diretto da Woody Allen, è un viaggio nel passato cinematografico di Allen, che non può che comportare il ripristino di alcuni topoi che da sempre caratterizzano il cinema del regista newyorkese: la musica jazz, la profonda critica antiborghese e la centrale presenza di New York, ancora una volta protagonista e sfondo dell’intera opera.
Boris YellniKoff (Larry David), nevrotico misantropo che eleva se stesso al di sopra di tutto e tutti, un tempo fisico di fama mondiale e (quasi)premio Nobel per la fisica, dopo un tentato suicidio dovuto alla profonda insoddisfazione esistenziale che lo caratterizza, divorzia dalla bella ed avvenente moglie per rinchiudersi al Village, in un improduttivo atteggiamento di rifiuto e disprezzo nei confronti del mondo, di tutti gli stolti e miseri “vermetti” che lo abitano, e di tutti coloro che non ritiene all’altezza di un pensatore brillante, di una mente da Nobel. L’incontro con la sempliciotta ed ingenua miss di provincia Melody st. Ann Celestine (Ewan Rachel Wood), scappata dalla soffocante realtà della vita di provincia e affascinata dal “genio dalla visione di insieme” che Boris dice di essere, lo scuote dal proprio torpore e dalla cronica solitudine nella quale si è rinchiuso. Inizialmente ostile e scontroso nei confronti di un “vermetto senza cervello, cambia idea, come solo una grande mente è in grado di fare, e acconsente a sposarla. La loro stravagante, ma tuttavia piacevole convivenza è interrotta dall’inaspettato arrivo di Marietta (Patricia Clarkson), la conservatrice e fanatica religiosa madre di Melody, che cerca in ogni modo di far innamorare la figlia del giovane e avvenente aspirante attore (Henry Cavill), per salvarla da un matrimonio che considera profondamente immorale. Ben presto, però, il contatto con la cosmopolita e aperta cultura newyorkese e la forzata e indesiderata convivenza, si trasformano in un’occasione per cambiare in maniera radicale la propria vita, per credere nelle proprie possibilità, realizzando finalmente se stessi e i propri sogni, fuggendo le proprie prigioni morali e trovando, grazie alla giusta dose di fortuna, l’amore.
Basta che funzioni è un un’opera corale profondamente sfacciata ed irriverente , sapientemente strutturata ed equilibrata in ogni sua componente, dai sentenziosi sproloqui autocelebrativi del protagonista, ai goffi e mal riusciti tentativi di Melody di citare le strampalate teorie del marito, al continuo susseguirsi di situazioni dagli imprevedibili esiti, che nella loro semplicità e stravaganza, permetteranno ai personaggi di capire che non è mai troppo tardi per cambiare in meglio la propria vita, per realizzare i propri sogni, per scavare nelle profondità del proprio animo trovando finalmente se stessi, l’amore, la felicità e il tanto agoniato appagamento esistenziale. Il film si apre e si chiude con un acuto e pungente monologo che il burbero protagonista, guardando direttamente nella macchina da presa, rivolge allo spettatore, introducendo uno sguardo metafilmico che sistematicamente ricorrerà nell’arco dell’intero film e del quale il protagonista Boris, claudicante alter-ego del regista stesso, si serve per cercare costantemente il consenso altrui alle proprie strampalate e scettiche teorie sulla malattia che appesta il genere umano e sulla natura deviata della società contemporanea.
Servendosi di un esasperato cinismo, di uno humour nero, e in maniera crudelmente cinica ma profondamente realista, Allen analizza fin nel profondo, per mezzo della trentennale sceneggiatura dagli incalzanti ritmi comici e della dissacrante ironia, il senso dell’esistenza umana in tutte le sue più intime e profonde implicazioni, senza risparmiare religione, morale, politica, scienza e tecnologia. Quella che viene descritta è una società ormai in caduta libera, costantemente alle prese con droga, armi, guerre, terrorismo, frivoli intrattenimenti e falsi sentimenti, in cui ogni cosa è ormai irrimediabilmente priva di significato, in cui uomini e donne vivono la propria vita all’insegna della nevrosi e del cinismo, profondamente insoddisfatti di sé, della propria esistenza, del proprio lavoro e chiusi a tal punto nelle proprie convinzioni morali e nelle proprie false ideologie, da non accorgersi delle piccole grandi gioie che la vita può ancora riservare loro.
In Basta che funzioni, Allen sembra voler spingere l’uomo a cogliere ogni minima speranza nel frenetico caos che lo circonda, e a vivere appieno ciò che di buono la vita può offrire: “bisogna saper prendere tutto nella vita, purchè funzioni” e, sebbene la realtà non sia sempre come la si desidera o la si immagina, l’importante è che funzioni, che tutto vada per il meglio, che si faccia tesoro delle gioie che riusciamo a conquistare e della felicità che riusciamo a strappare.
Ancora una volta Woody Allen rivela la propria incredibile capacità di emozionare, di colpire fin nel profondo dell’animo attraverso la quasi sovrannaturale abilità di osservatore disincantato della realtà, del caos, dell’entropia del mondo contemporaneo; questo è Allen, questo è il genio.