Un americano a Parigi: recensione di un capolavoro senza tempo
Un americano a Parigi, basta il titolo per riportarci nel clima del musical degli anni Cinquanta, tra musica e colori di un cinema passato ma allo stesso tempo così presente anche oggi. Uno dei capolavori che scrivono la storia del cinema non poteva non essere inserito nella classifica dei migliori cento film statunitensi (al sessantottesimo posto) dall’American Film Institute. Il titolo deriva dal poema sinfonico omonimo del compositore statunitense George Gershwin, considerato l’iniziatore della musical d’Oltreoceano. Sono famose le sue parole “Mi piace pensare la musica come una scienza emozionale”. Ed è proprio questo che accade in Un americano a Parigi, anche grazie a Saul Chaplin, reso celebre dal musical per eccellenza, West Side Story.
La trama di Un americano a Parigi non può essere più lineare: ci troviamo nel secondo Dopoguerra a Parigi. I protagonisti sono il pittore Jerri (Gene Kelly) e il pianista Adam (Oscar Levant). Insieme a Henri, un cantante francese,i giovani si esibiscono nel Cafè del quartiere. Un giorno Henri confessa all’amico di aver trovato una donna e di volerla sposare. Nel frattempo Jerri, come ogni mattina, presenta i suoi quadri sulla strada ed incontra una ricca donna americana di nome Milo Roberts (Nina Foch). La donna finanzierà alcune mostre al giovane Jerri che nel frattempo si innamora di una giovane donna. Abbagliato dall’ingenuità e freschezza di Lise (Leslie Caron), Jerri decide di lasciare Milo e coronare il suo sogno d’amore con la sua nuova fiamma. Ma gli ostacoli sono dietro l’angolo, infatti durante il Ballo delle Belle Arti Lise confessa a Jerri di avere già una relazione con un giovane uomo che durante la guerra l’aveva salvata. L’uomo in questione è Henri, il cantante francese con cui Jerri si esibisce solitamente. Così i due amanti sono costretti ad allontanarsi, ma siccome l’amore trionfa sempre, l’epilogo del film non può che essere felice e far valere le ragioni del vero amore.
Un americano a Parigi: al cinema la versione restaurata distribuita da Cinema di Valerio de Paolis
Come abbiamo visto, la trama è molto semplice, infatti ciò che rende unico il film è la grande capacità dell’attore, ballerino e coreografo Gene Kelly e i numeri musicali fuori dal comune: il balletto con i bambini per le strade della città accompagnato dalle note di I got rythm, nel momento musicale cantato da Georges Guetary dal titolo I’ll build a stairway to paradise. Memorabile la scena in cui Oscar Levant, nei panni di Adam, sogna di suonare tutti gli strumenti dell’orchestra. Ma la vera sequenza di scene che segna la storia del film sono senza dubbio gli ultimi 17 minuti in cui i protagonisti-ballerini costruiscono con il loro movimento alcuni quadri viventi dei maggiori artisti impressionisti, tra cui Renoir e Toulouse-Lautrec. È un inno all’Arte, in tutte le sue espressioni e sfaccettature. La grandezza di Un americano a Parigi risiede senza dubbio nella capacità del regista Vincente Minnelli di mescolare generi diversi e costruire un genere che avrà sempre più successo nel corso degli anni a venire. Non sono da meno la Fotografia, la Scenografia e i Costumi che creano il mondo parigino impressionista, anche se lontano dalla Parigi degli anni Cinquanta e più legata all’immagine di coloro che non vivono la città ma la sognano.
Il giorno 9 giugno questo grande classico, con i suoi 65 anni, ritorna in sala restaurato grazie a Cinema di Valerio de Paolis.