Il Nome del Figlio: recensione

Il Cinema italiano è in crisi, questo ormai si sa, ma un film come Il Nome del Figlio riesce a dare l’illusione che, se si cominciasse a girare più pellicole di questo livello, la gente tornerebbe a riempire le sale.

Eppure la regista Francesca Archibugi si è lanciata in questo ambizioso remake della pièce teatrale francese Le prénom, con limitati mezzi economici  e solo tre settimane a disposizione per le riprese, una difficoltà che invece di demotivarla l’ha portata ad amare ancora di più questo progetto, compensando l’ostacolo con prove su prove, rese possibili ed utili anche e soprattutto dall’estrema disponibilità degli attori protagonisti.

È nata così una Commedia italiana con la C maiuscola, di quelle che non si vedevano e godevano da tempo, frutto di  una sceneggiatura intelligente e divertente (a cura della Archibugi e della garanzia Francesco Piccolo) e di una regia mai intrusiva che, invece di guidare gli attori, si è lasciata guidare da loro, previa un’accurata e meticolosa pianificazione di ciò che il film avrebbe dovuto mostrare.

Il nome del figlio cena

Una scena del film

Il Nome del Figlio porta sulla scena, tramite la “miccia” di un piccolo espediente, il tema degli stereotipi e delle differenze: in un’Italia contemporanea in cui l’ideologia perde progressivamente di significato ed in cui il rancore per il diffuso malessere sociale rende sempre più cittadini dei pericolosi “atei politici”, non possiamo fare a meno di continuare a pensare che esista una lotta fra destra e sinistra, schierandoci gli uni contro gli altri in nome di ideali ormai completamente utopici e che noi stessi – per primi – non difendiamo nella nostra quotidianità.

Maestri in cattedra ben lungi dall’agire, il nostro massimo impegno sociale si esprime spesso in occasioni come le cene tra amici, in cui, protetti dalla solidità dell’affetto reciproco, ci lasciamo andare ad animate discussioni varie su passato, presente e futuro, che portano, come risultato, proprio un bel niente.

Il punto è, cosa potrebbe succedere se il pretesto di una “diatriba” politica fosse il “La” per dirsi una volta per tutte la verità? Ciò che pensiamo gli uni degli altri o ciò che non abbiamo detto per vent’anni?

Questi i presupposti de Il Nome del Figlio, in cui un appuntamento conviviale tra amici di infanzia porta inaspettatamente a galla malumori repressi e rivelazioni pericolose, sconvolgendo completamente quella che doveva essere una serata come tante.

Il nome del filgio trio

Scena del film

Paolo (Alessandro Gassman), estroverso agente immobiliare con il vizio della burla, ha sposato Simona (Micaela Ramazzotti), bellissima ma non esattamente raffinata scrittrice di periferia, autrice (o quasi) di un best-seller erotico ed in attesa del loro primo figlio. In occasione di una cena a casa della sorella di  Paolo –  la docile Betta (Valeria Golino), moglie dell’intellettuale twitter-compulsivo Sandro (Luigi Lo Cascio) –  viene rivelato il nome del bimbo in arrivo: una bomba che trasforma la cenetta in un’aspra guerra interpersonale, moderata senza troppo successo dall’amico comune Claudio (Rocco Papaleo), un eccentrico musicista che da sempre cerca di mantenere gli equilibri nel gruppo.

Ecco che, a partire da un presunto affronto familiare a sfondo politico, emergeranno ben altre problematiche interpersonali, tenute a bada dall’unico credo possibile, in questo Paese alla deriva: l’amore reciproco.

Il Nome del Figlio ironizza con sottile intelligenza su vizi e virtù degli abitanti del Bel Paese, mettendo in luce attraverso la personificazione dei più diffusi stereotipi umani, ciò che stiamo perdendo di vista ma siamo forse ancora in tempo per recuperare: c’è l’ossessione per i social network, vero e proprio rifugium peccatorum per chi fatica a confrontarsi con la vita reale; c’è il cinico privilegiato che può permettersi il lusso di non andare a votare, salvo sminuire il pensiero di chi ancora crede in qualcosa; c’è l’intellettualoide che, solo perché ha letto qualche libro, pensa di poter giudicare tutti dall’alto in basso e c’è la madre di famiglia che, per amore dell’armonia, ha perso di vista l’obiettivo più importante: conoscere e gratificare se stessa.

il nome del figlio Golino

Una scena del film

Il tutto senza giudicare l’uno o l’altro “tipo umano” ma, anzi, mettendo in luce le grandi virtù nascoste dietro alle grandi pecche, in una sorta di monito che assume la forma terapeutica del “rinforzo positivo”: cercare di cambiare e migliorarsi a partire dai propri pregi e non dai propri difetti.

A sostegno del prezioso lavoro dei protagonisti , sui quali spicca un Alessandro Gassmann perfetto nel ruolo e commoventemente vicino allo stile recitativo del padre, una fotografia capace di catturare e restituire  il non detto attraverso gli sguardi, ed una colonna sonora malinconica e rassicurante, che sboccia nel catartico e riconciliatore canto di gruppo di “Telefonami tra ventanni” del grande Lucio Dalla.

Unica pecca il ritmo che, con una sceneggiatura così ricca e sfaccettata, avrebbe potuto essere più sostenuto.

Il Nome del Figlio arriverà al cinema il 22 gennaio, distribuito da Lucky Red; tra i produttori associati il regista Paolo Virzì.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4.2
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.7
Emozione - 4

4