Mystic River: recensione del capolavoro di Clint Eastwood
Un fiume mistico e misterioso, quello che divide la città di Boston ma, innanzitutto, le coscienze dei suoi abitanti, invischiati nei retaggi di un passato ingrato e irreparabile e nell’impossibilità di guardare avanti, superando ciò che li ha irrevocabilmente cambiati.
Protagonista di Mystic River, vincitore del Golden Globe e del Premio Oscar per i migliori attori Sean Penn e Tim Robbins e ampiamente considerato il miglior film da regista di Clint Eastwood, è il trauma e la conseguente impossibilità di ristrutturare se stessi ai propri occhi come a quelli degli altri, vittime quanto colpevoli di quel pregiudizio capace di far saltare a conclusioni crudeli ed irreversibili quanto gli antefatti che lo hanno provocato, in un circolo vizioso torbido ed inesorabile, i cui segreti giacciono sul letto del fiume della propria consapevolezza e coscienza.
Tratto dal romanzo La morte non dimentica di Dennis Lehane
Mystic River narra la storia di tre ragazzini, Sean (Kevin Bacon), Jimmy (Sean Penn) e Dave (Tim Robbins), abituati a simulare partire di hockey per le strade del proprio quartiere e a compiere piccoli atti di coraggioso vandalismo, alla ricerca di un’identità ancora acerba, da formare attraverso quelle esperienze tanto casuali quanto determinanti di cui la vita si compone.
Un giorno, nell’atto di incidere il proprio nome su una lastra di cemento fresco, il gioco viene interrotto dall’arrivo di un’automobile con a bordo due uomini che, dopo aver duramente rimproverato i ragazzi, intimano a Dave di salire in macchina con loro, con il pretesto di volerlo riaccompagnare a casa per comunicare alla madre la sua condotta.
In realtà, la destinazione sarà uno scantinato nel quale il giovane verrà violentato per giorni, riuscendo poi a scappare da quella tana del “lupo” che, tuttavia, rimarrà per sempre latente ed indelebile nella sua mente, pronta a tormentare la sua futura esistenza.
25 anni più tardi, Dave vive nello stesso quartiere ed è un uomo felicemente sposato, padre di un bambino al quale ha trasmesso la sua stessa passione per l’hockey; Jimmy è il proprietario di uno spaccio e Sean è un poliziotto della squadra omicidi, marito abbandonato di una donna misteriosa che quotidianamente lo chiama da New York senza dire nulla, aspettando probabilmente un suo cenno per riconciliarsi: il tragico e inspiegabile assassinio della figlia diciannovenne di Jimmy e le relative indagini sugli abitanti del quartiere, saranno l’occasione per riunire il gruppo di amici che, come in una oscura profezia, si ritroverà a fare i conti ancora una volta con quella tragica giornata il cui il caso ha voluto che fosse Dave, a salire su quella maledetta macchina…
Mystic River: Clint Eastwood alla regia di un capolavoro di simbologie ed esplorazione psicologica
Mystic River mette in scena la complessità dell’agire umano, mostrando come la responsabilità per le proprie azioni si fonda inevitabilmente con le esperienze di vita, impossibili da dimenticare, e forgiatrici dell’ identità al punto di avere il potere di annientarla.
Dave sarà per sempre quel bambino fuggito dai “lupi”, così come Jimmy sarà per sempre il “duro” pronto ad uccidere per difendere famiglia e onore, ed entrambi si ritroveranno coinvolti in un vortice di azioni al di fuori del proprio controllo, frutto di un percorso di vita ormai immodificabile e dalle tragiche ed inaspettate collisioni.
La regia sensoriale e simbolica di Clint Eastwood accompagna lo spettatore in questo torbido viaggio nei meandri di una morte che ritorna come una maledizione a colpire le vite dei protagonisti, legati subdolamente da un destino che non hanno potuto scegliere ma che li ha indelebilmente segnati.
Tutto ciò che accade sulle sponde del Mystic River riporta ad un conto in sospeso, all’espiazione di una colpa che – come nella più tragica prescrizione biblica – dai padri si riversa sui figli, suggerendo la natura sadica del passaggio su questa Terra, un’esperienza costellata di dolore e ingiustizie, in cui l’uomo poco può fare contro un male che, dopo aver offerto l’illusione di poter essere sconfitto, dimostra di poter essere, in realtà, solo rimandato.
Ecco allora che la giustizia finisce per assumere la forma della vendetta personale, solitaria e silenziosa, laddove la perdita totale della fiducia nel prossimo, che sia rappresentato da un Dio, da una moglie, da un amico o dalle stesse forze dell’ordine, impedisce di poter anche solo immaginare una risoluzione giusta, in grado di riportare un briciolo di pace negli animi tormentati dei protagonisti.
Mystic River è un’opera imponente e profondamente umana, capace di mostrare la banalità arendtiana del male nella sua forma più pura senza cedere all’ausilio di immagini violente, ma preferendo giocare con la tensione psicologica nascosta dietro alle inaccettabili ragioni di ciò che vediamo, specchio di quel lato dell’umanità non degno di essere chiamato tale ma reale e tangibile, e per questo spaventoso.
Un risultato favorito dalle interpretazioni semplicemente eccezionali del cast, e da una fotografia cupa ed inquietante, tesa ad incorniciare e ad indugiare sulle contraddizioni dell’animo dei protagonisti attraverso l’utilizzo sapientemente dosato di luci ed ombre.
Il prodotto finale è un thriller psicologico pressoché perfetto, in cui l’attesa dell’epilogo perde la sua classica connotazione di impazienza per la scoperta di un colpevole, elevandosi a dolorosa quanto necessaria ricerca di un qualche minimo, flebile, messaggio di speranza, in grado di rassicurare e consolare le nostre paure più segrete, e nascosto – forse – nel coraggio di mostrarsi a se stessi e agli altri per quello che si è, o si è diventati, riuscendo finalmente a chiedere ed offrire autentico aiuto. Solo in questo modo la morte potrebbe dimenticarsi di noi.