Easy Rider: recensione
Easy Rider è un film simbolo degli anni ’60, il road movie per eccellenza e quello più a contatto con la mitologia western. È il più celebrativo del binomio libertà-strada aperta e un atto d’accusa all’America, alla libera America che ha appena visto uccidere Robert Kennedy e Martin Luther King, dopo John Kennedy e Malcom X.
La realizzazione del film è diventata una leggenda a Hollywood. Peter Fonda e Dennis Hopper avevano scritto la storia con Terry Southern (coautore della sceneggiatura del Dr. Stranamore di Kubrick) per offrirlo alla American Pictures International, casa che aveva prodotto biker-movies come I Selvaggi (The Wild Angels, 1966) di Roger Corman, di cui Fonda era stato protagonista, ma il copione venne rifiutato. Di lì a poco riuscirono ad avere i finanziamenti dalla Columbia. Il budget era comunque limitato, non c’erano soldi per ottenere musiche originali, così Hopper scelse musiche rock contemporanee, una delle scelte più felici del film. La colonna sonora include Steppenwolf, Byrds, Bob Dylan, Jimi Hendrix e The Band.
I film di moto non erano più di moda nel 1969, anche se Hell’s Angels on Wheels (Angeli dell’inferno sulle ruote) di due anni prima era stato un tentativo di liberarsi dal cliché alcol, violenza e scorrerie di bikers nelle piccole città.
Regia di Richard Rush, condivide con Easy Rider il direttore della fotografia, Laszlo Kovàcs, e uno degli attori, Jack Nicholson, ancora poco noto, nel ruolo di un giovane benzinaio che si unisce alla banda di motociclisti e poi se ne stacca deluso. I biker movies, a cominciare da Il Selvaggio (The Wild One, L. Benedek, 1954) con Marlon Brando, erano film sulla violenza e sullo scontro tra bande, Corman ne aveva esasperato ancora di più la dimensione antisociale ricorrendo ai veri Hell’s Angels californiani, che portarono violenza autentica sul set, picchiando Bruce Dern solo perché indossava il giubbotto della banda, seppure per esigenze di scena, e Peter Bogdanovich, assistente alla produzione, tanto per colpire uno dei capi. La differenza introdotta da Corman era che il punto di vista non era quello dei cittadini che subivano le imprese devastanti dei teppisti, ma lo sguardo degli stessi motociclisti. Fonda e Hopper, che pure aveva interpretato il capo di una motorcycle gang (in Anime nere, di Anthony Lanza, 1966) chiamato Chino come il Lee Marvin del Selvaggio, vogliono collegare la moto ad un altro simbolo di ribellione, la cultura hippie, e coglierne la morale anarchica nel viaggio di due ribelli non violenti, semplici e libertari, nel ventre dell’America intollerante ed ostile del sud ovest.
Wyatt e Billy, Peter Fonda e Dennis Hopper, hanno un affare di droga per le mani, tra il Messico e Los Angeles, che li sistemerà per lungo tempo. La droga è cocaina, pura vida che vendono a Connection, uno snob dai Ray-Ban gialli che si presenta in Rolls e bodyguard, impersonato dal produttore discografico Phil Spector. Questi vede la merce, assaggia con attenzione e compra. Affare fatto.
Dopo questo prologo e i titoli di testa, Wyatt e Billy ricompaiono a bordo di due fiammanti Harley Davidson sulle note di Born To Be Wild degli Steppenwolf:
Get your motor runnin’…
Fai correre il tuo motore
A testa bassa sull’autostrada cercando l’avventura
E qualunque cosa capiti sulla nostra strada.
Sì Cara fai che succeda
Take the world in a love embrace…
Prendi il mondo in un abbraccio d’amore
Spara con tutte le tue pistole insieme ed esplodi in cielo
Mi piacciono il fumo e il lampo
Il rombo della marmitta
Gareggiando col vento e sentendo che sono sotto
Like a true nature’s child…
Come un vero figlio della natura
Noi siamo nati, nati per essere selvaggi
Noi possiamo scalare così in alto
Non voglio morire mai
Born to be wild – Nati per essere selvaggi
Wyatt è Capitan America, batte bandiera americana sul serbatoio di benzina del chopper, sul casco e cucita sulle spalle della giacca di pelle. Billy porta un cappello da cowboy, una giacca di renna con le frange e una collana di denti di coccodrillo. Il serbatoio della sua moto è decorato con fiamme gialle e rosse. Il loro sogno di libertà è poter andare dove vogliono quando vogliono, la prima meta è il Carnevale di New Orleans.
Un autostoppista li porta fin dentro una recondita comune hippie, i cui membri recitano su un palcoscenico improvvisato ed aspirano a coltivare il loro cibo spargendo semi sulla terra riarsa.
Ma qui non cresce niente, è tutto sabbia e sassi, nota Billy.
Ce la faranno, risponde Wyatt.
L’amico che hanno portato fin lì fa loro dono di una dose di acido, da prendere al posto giusto, con le persone giuste. Si fermano qualche ora con questi giovani tutto candore ed amore libero che combattono la loro graziosa e pacifica guerra di liberazione, fumano la loro erba, fanno il bagno con due donne del gruppo. Ripartono.
Incarcerati per aver attraversato senza permesso una parata in una cittadina, incontrano nella cella un giovane avvocato, George Hanson, con problemi di alcol ma in buoni rapporti con la polizia. E’ Jack Nicholson, che era già apparso in diversi film ma qui inizia a rendere il suo genio da star.
George: A quanto pare, voi due non siete di queste parti, vero? Siete fortunati che ci sia io ad evitare guai.
Che guai? (Wyatt)
Hanno la forbice facile qui, il motto è abbellire l’America, cercano di fare in modo che tutti assomiglino tali e quali a Yul Brynner. Hanno usato delle lamette arrugginite con gli ultimi due capelloni che hanno portato qui dentro. Non c’ero io, sapete, sono un avvocato… i diritti civili mi hanno dato molto da fare.
George riesce a farli uscire e si ferma con loro davanti alla stazione di polizia. Una volta fuori, prende il primo sorso della giornata da una fiaschetta di Jim Beam, alla salute del “vecchio Hemingway”. Fornisce loro il nome del miglior casino di New Orleans e confessa che anche lui ha tentato più volte di andarci senza mai riuscire a superare il confine dello Stato. Si forma così il trio del film, George sale in moto con Wyatt indossando un casco da football dorato.
I due commerciano in coca ma loro droga preferita è la marijuana; quella sera, intorno al falò, la fanno provare a George. E’ una delle scene cult del film: Billy vede, o crede di aver visto, un oggetto luminoso solcare il cielo. Wyatt lo ritiene del tutto partito. George, fumato, gli spiega che si tratta di una cosa normale:
E’ un disco volante che ti faceva un segnale. Io ero con Bob Rafelson due settimane fa giù nel Messico, ne abbiamo visto 40 volare in formazione. Hanno basi sparse in tutto il mondo adesso, sapete, vengono da noi dal 1946, da quando gli scienziati hanno cominciato a far rimbalzare i raggi del radar sulla Luna e ora vivono e lavorano in migliaia in mezzo a noi, il governo lo sa benissimo.
(…) Sono delle persone come noi e vengono dal nostro stesso sistema solare, solo che la loro società è più evoluta. Voglio dire che non hanno guerre, non hanno sistema monetario e soprattutto non hanno capi, perché ognuno di loro un capo. Voglio dire, ognuno di loro grazie alla tecnologia è in condizione di nutrirsi, vestirsi, avere una casa e circolare come vuole senza differenza né sforzi.
Billy la giudica un’idea da svitati e chiede perché, se sono così intelligenti non si rivelano a noi.
Non si rivelano a noi perché, se si rivelassero, ci sarebbe subito un panico generale. Voglio dire, noi abbiamo ancora dei capi dai quali dipendiamo per la diffusione di queste notizie, e questi capi hanno deciso di impedire la diffusione di queste notizie per il tremendo shock che subirebbe tutto il nostro sistema antiquato. Ora, il risultato di questa situazione è che i Venusiani hanno preso contatto con tutti gli strati sociali. Sarebbe veramente un colpo mortale per i nostri sistemi antiquati, quindi adesso i Venusiani si incontrano con tutti gli strati sociali in qualità di consulenti, si capisce, e una buona volta l’uomo avrà il controllo… direi divino del proprio destino e potr finalmente trascendere, evolversi conquistando l’uguaglianza.
George pronuncia il discorso sui Venusiani come se stesse rivelando un semplice e prodigioso segreto, con fare confidente e sardonico e un lampo allegro negli occhi. Ma la sola presenza in città dei tre viaggiatori scatena l’odio di alcuni rabbiosi bifolchi. Vengono aggrediti la notte seguente e George rimane ucciso.
Billy e Capitan America raggiungono New Orleans, trovano il famoso bordello ed escono con due prostitute, attraversano il corteo di Carnevale e finiscono in un cimitero dove assumono la dose di LSD ma il trip è una girandola vistosa e triste.
Riprendono il viaggio verso la Florida ancora inseguiti dal rancore insaziabile dei bifolchi, uno di questi buzzurri ignoranti a bordo di un pick-up spara a Billy con un fucile per disarcionarlo dalla moto ma lo colpisce in pieno. Capitan America va a cercare soccorsi ma il furgone torna indietro e spara anche a lui. L’ultima scena del film mostra la ruota del chopper staccata e la moto esplodere in volo.
Easy Rider arrivò nelle sale ai tempi di Woodstock, al culmine della cultura hippie, carico di forti simbolismi. Peter Fonda che getta via l’orologio prima di partire per il viaggio, la ferratura del cavallo giustapposta alla sostituzione della ruota forata di una delle moto, i paesaggi mozzafiato della Monument Valley, i nomi dei protagonisti, Wyatt e Billy, come Wyatt Earp e Billy The Kid, lo stesso titolo Easy Rider è riconducibile al modo di indicare, nel Sud, l’uomo di una prostituta, non il protettore ma il compagno, colui che ha una corsa facile. La corsa facile è anche quella degli autori, che intendono lanciare un’accusa all’America attraverso il viaggio e la morte simbolica dei tre sognatori, perché il sogno non ha speranza sulle strade perdute dell’America. Il dialogo dell’ultima sera davanti al falò tra i i due bikers che volevano rendere la loro vita più intensa e libera non ha più connotati di ribellione. Billy pensa ancora di avere davanti una vita ricca ed esuberante mentre Capitan America non ci vede più alcuna gioia possibile.
Wyatt: Sai Billy, siamo fregati. E’ finito tutto.
Billy: Ma come, se abbiamo tutto? Siamo pieni di soldi…
Wyatt: Fregati! Buonanotte.
Easy Rider ‒ Libertà e paura, 1969, di Dennis Hopper.
Produzione: Peter Fonda per Pando/Raybert Productions; sceneggiatura: Peter Fonda, Dennis Hopper, Terry Southern; fotografia: Lászlo Kovács; effetti speciali: Steve Karkus; montaggio: Donn Cambern; scenografia: Jerry Kay; musica: Hoyt Axton, Mars Bonfire, Roger McGuinn.
Interpreti: Peter Fonda, Dennis Hopper, Jack Nicholson, Antonio Mendoza, Phil Spector, Luke Askew, Karen Black, Lea Marmer, Cathe Cozzi.