Ghostbusters: recensione del film di Paul Feig
Mutando leggermente il senso del motto E chi chiamerai? che dagli anni ’80 accompagna le scene di Ghostbusters, ci chiediamo, come lo chiamerai? Ovvero, quali sono le parole più appropriate per definire il film diretto da Paul Feig?
Potremmo giudicarlo esilarante, sessista, razzista o sbirciare l’altro lato della medaglia e scoprirlo semplicemente più rosa, più tollerante e leggermente sopra le righe.
All’assodato quartetto composto da Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis e Ernie Hudson si sostituisce una squadra di donne agguerrite e divertenti capitanate da Melissa McCarthy (che potremmo definire quasi una musa comica del regista) al cui seguito si aggiungono Kristen Wiig, Kate McKinnon e Leslie Jones.
Nonostante le critiche sul rimaneggiamento di genere, c’è da dire che l’idea di Feig su questo punto di vista appare vincente nella misura in cui, a dare un valore aggiunto al reboot, provvede la sfumatura dell’improbabilità e dell’euforia tipicamente femminile. Della serie: abbiamo sempre un gruppo di amiche (o presunte tali) che credono fermamente nel paranormale e sviluppano un’idea geniale, ma le cose per loro saranno meno semplici rispetto ai protagonisti del film di Ivan Reitman (1984); la società che le circonda sembra dover fare un doppio sforzo per accettarle: strane e pure donne e come se non bastasse non sono neanche delle sex symbol!
Il nuovo Ghostbusters si apre sulla visione di una dimora nobiliare falsamente infestata e di grande impatto, continuando poi a svilupparsi principalmente sulla storia di una vecchia amicizia, quella tra Abby (McCarthy) ed Erin (Wiig), amiche di vecchia data e amanti del paranormale; la prima convinta e intenzionata a non mollare il suo percorso, la seconda stanca di essere presa in giro.
Una debolezza, quella di Erin, che diviene base fondante della pellicola. Dopo aver scritto insieme ad Abby un libro sui fantasmi, la donna dai tracotante insicurezza e i maglioncini incollati, decide di rinnegarlo per dare spazio alla sua carriera da docente universitaria presso la Columbia University, ma la ricomparsa della fatidica opera la condurrà ad interfacciarsi nuovamente con Abby e da lì con Jillian Holtzmann (McKinnon) e Patty Tolan (Jones). La sua carriera universitaria da persona normale è ufficialmente andata in frantumi, mentre il suo sogno di aprire una ditta di acchiappafantasmi inizia a prendere forma e le cose sembrano andare a gonfie vele, dato che Manhattan è invasa da una nuova ondata di spettri.
Solo un puro caso? Ovviamente no! Ad architettare l’ingresso dei fantasmi nella nostra dimensione Rowan North (Neil Casey) che, come tutti i cattivi che si rispettino, appare esternamente un uomo senza pretese, uno di quelli aventi un profilo talmente basso da passare inosservato; molto più propriamente un disadattato, proprio come lo sono le protagoniste.
Con la differenza che, mentre le quattro donne esprimono in positivo la loro palese diversità, tramutando in passione l’emarginazione, Rowan converte il suo fallimento in odio e distruzione.
A controbilanciare il male un bellissimo e impacciatissimo Chris Hemsworth nei panni di Kevin, il segretario delle Ghostbusters, tra l’altro l’unico ad essersi candidato per quel ruolo. È bellissimo vedere il Dio del Tuono marveliano in una commedia come questa: è ottuso, pieno di entusiasmo e completamente inconsapevole.
Insomma, tutto sembra apparentemente quadrare alla perfezione nell’opera di Paul Feig la quale, se vista in solitaria – senza pensare che si tratta di un reboot e che il film di circa 30 anni fa con cartone animato a seguito ha segnato l’infanzia dell’attuale generazione – risulta divertente, ben bilanciata, forse con qualche battuta o scena di troppo che potrebbe infastidire i più pignoli, ma certamente non da cestinare del tutto.
È certo difficile pensare al Ghostbusters di Paul Feig senza fare un confronto con i film precedenti, specie se la pellicola sceneggiata con l’aiuto di Kate Dippold risulta traboccante di camei e riferimenti al film del 1984, dal logo (che è d’obbligo), alla presenza di Slimer e ancora a quella di Bill Murray (che non può che fare la parte dello scettico!) e Sigourney Weaver.
Inserti atavici che forse Feig avrebbe potuto spalmare meglio dall’inizio alla fine e che invece pare finiscano per appesantire di emozioni il finale, trasmettendo una scarica di sana nostalgia, subito intersecata dalla confusione; quella che ti prende a sberle facendoti perdere la bussola.
Il regista di commedie come Le amiche della sposa, Corpi da reato e Spy dirige un film fatto di giuste alchimie e nel cast e nella composizione della storia; riesce a bilanciare sapientemente il malessere del sentirsi diversi con l’euforia e la consapevolezza di essere delle paladine.
Altro vero asso nella manica sono inoltre i gadget low-tech e high-tech, le armi innovative e fuori da ogni logica, il carro funebre usato come mezzo di trasporto e le location che migrano dallo stile cinese fatto di porte circolari, draghi e pareti rosse alla sede fantasmagorica e originale che si intravede solo alla fine.
Inutile sottolineare che Ghostbusters non sarebbe stato lo stesso senza degli effetti speciali autenticamente da paura – in cui nuove e vecchie tecnologie si amalgamano creando dei fantasmi più brillanti e autentici, senza perdere lo smalto del film originale – e soprattutto senza l’iconica canzoncina e le musiche di Theodore Shapiro.
Il risultato finale è comunque un’opera fresca, divertente; Ghostbusters sa strisciare con ironia tra le paure, le ansie e le illusioni dei nostri giorni, analizzando con godibile superficialità il paranormale che c’è in ognuno di noi!
Il film è al cinema dal 28 luglio distribuito da Warner Bros.