Mortdecai: recensione
Mortdecai è una di quelle commedie che hanno tutte – o quasi – le carte in regola per essere un film di grande successo, sia di critica sia di pubblico. Peccato non sia andata proprio così. Nonostante la presenza di un cast d’eccezione e di grande richiamo – Johnny Depp, Gwyneth Paltrow, Ewan McGregor e Paul Bettany giusto per citarne i principali – l’ultimo lavoro di David Koepp (che con Depp aveva già collaborato in passato per Secret Window) fa acqua da tutte le parti. Uno scolapasta, più che una nave.
I guai cominciano fin da subito. Nella scena d’apertura, Mortdecai si trova in un casino di Hong Kong in procinto di trattare la vendita di un oggetto d’arte a suo dire molto prezioso: un antico vaso. Botta e risposta con un capo gangster, veniamo a sapere di una precedente truffa operata dal ricco mercante d’arte in una precedente transazione. La scena si conclude, ovviamente, con Johnny Depp in fuga. Basterebbero anche solo queste quattro righe per evidenziare tutto quanto di sbagliato c’è in questo film. Se l’ambientazione, i personaggi e la trama vi sembrano familiari, è proprio perché lo sono, e nel modo più negative possibile. Un casino di Hong Kong in un film su un truffatore è come una sparatoia in un film d’azione, e dio solo sa quanto eccessivamente e inutilmente lunghe ormai ci appaiono. Ma okay, diciamo che su questo possiamo anche sorvolare. Quello che proprio non si riesce a tollerare, però, è l’elemento caricaturiale/satirico che da qui si dipana poi per tutta la durata del film, rendendolo un boccone secco e difficilissimo da mandare giù.
E purtroppo Johnny Depp ha un grande ruolo in tutto questo, perché Mortdecai è sullo schermo per la stragrande maggioranza del tempo, con le sue smorfie, i suoi gesti e la sua personalità che ricordano tanto – troppo – quelli del personaggio con cui l’attore ha raggiunto l’apice del suo successo: Jack Sparrow. Se vi stavate domandando come mai le ultime sue interpretazioni sembrano essere sempre la stessa maschera in contesti e tempi diversi, la risposta è molto semplice: lo sono davvero. Che amarezza vedere un talento simile infrangersi contro le rocce della ripetitività e della scontatezza!
Non che il film sia altrimenti perfetto, tutt’altro. David Koepp ci mette molto di suo, lasciando agli attori tutta la carta bianca che vogliono e limitandosi a starsene seduto sulla sua sedia da regista, scena dopo l’altra, senza preoccuparsi di intervenire minimamente, con un’unica, flebile eccezione: tutti i protagonist principali sono presentati di spalle, forse un segno della loro inaffidabilità (sempre che non stia cercando un minimo appoggio per salvare questo disastro almeno in parte!).
Secondo – e ultimo – segno positivo la performance di Paul Bettany nei panni del bodyguard tuttofare Jock, che pur nella sua relativa rozzezza mantiene sempre e comunque il suo carattere tipicamente british, dipinto in modo convincente dall’attore londinese, capace di sfoderare una poker face da fare invidia nonostante le situazioni in cui Mortdecai lo fa precipitare ogni volta.
E sua è anche la linea di dialogo che si può benissimo usare per descrivere in breve l’intero film. All’ennesima domanda rivoltagli dal suo datore di lavoro, Jock? Will it be alright in the end? (“Si risolverà tutto alla fine?”), l’espressione esaurita e incazzata di Paul Bettany risponde, How the fuck should I know!? (“Come cazzo faccio a saperlo!?).
Proprio quello che ci chiediamo anche noi.