Alla ricerca di Dory: recensione del film d’animazione Disney Pixar
Vi state chiedendo quale sia il lasso temporale necessario a far decantare il successo planetario di un film d’animazione per regalargli un sequel degno di questo nome? Adesso è facile rispondervi: più o meno 13 anni; possiamo confermarvelo dopo aver preso visione dell’attesissimo Alla ricerca di Dory (Finding Dory)!
Correva l’anno 2003, infatti, quando il mondo Pixar ci catapultava per la prima volta nello sconfinato ed affascinante mondo che si cela negli abissi oceanici con Alla ricerca di Nemo. A quelli di voi terrorizzati dall’assonanza dei due titoli non possiamo far altro che confessare di aver peccato esattamente quanto loro e, contemporaneamente, raccomandare di buttare via paure e preconcetti, andare al cinema e godersi 103 minuti di fragorose risate e tenera malinconia.
Alla ricerca di Dory (trailer) ricorda la struttura temporale del Memento di Christopher Nolan
È passato solo un anno dal lungo viaggio intrapreso da Marlin per riabbracciare suo figlio e la vita nascosta dalle increspature delle onde va avanti senza intoppi: Nemo frequenta ancora la classe del Maestro Ray insieme ai suoi amici ed ogni sera torna a dormire tra i tentacoli dell’anemone al cui veleno è immune.
L’unico cambiamento degno di nota è l’entrata in famiglia di una femmina di pesce chirurgo molto sui generis. Naturalmente si tratta di Dory, la smemorata cronica che, dopo aver ricoperto un ruolo da non protagonista in Alla ricerca di Nemo, ha saputo ingraziarsi il pubblico di tutte le età, arrivando a far puntare tutti i riflettori su di sé in un sequel che non si può fare a meno di considerare (anche) uno spin-off.
Alla ricerca di Dory è un viaggio nella psiche e nell’oceano
alla ricerca del proprio io
Alla ricerca di Dory, infatti, non fa altro che entrare nella psiche di un personaggio che già 13 anni fa avevamo intuito possedesse grosse potenzialità empatiche: le stesse in cui gli autori hanno sapientemente scavato, dando vita ad un film d’animazione che si fa strada tra i mal archiviati ricordi di una pesciolina tanto entusiasmante quanto commuovente. E cosa succede quando ad un pesce che non ricorda cosa sia accaduto 7 secondi prima, ritornano in mente stralci di memorie lontane di cui non aveva mai avvertito la presenza? Sembra così semplice da immaginare; eppure…
Il viaggio tra emozioni, psiche e ricordi intrapreso con Inside out, continua anche in fondo all’oceano con Alla ricerca di Dory; la cui struttura temporale ricorda davvero tanto il nolaniano Memento, ovviamente con una timeline atta ad essere intesa e condivisa da un pubblico di qualsiasi età e sensibilità. Il viaggio a ritroso intrapreso da Dory per ritrovare le sue origini, la sua famiglia e soprattutto la propria identità è, prima di ogni altra cosa, una lotta contro se stessa; contro la parte di sé che ha sempre saputo deficere, e dalla quale non è mai riuscita ad avere risposte certe.
Anche stavolta Andrew Stanton (A bug’s life, Wall-E) ha curato non solo la regia, ma anche la scrittura di soggetto e sceneggiatura (come 13 anni fa), giustificando tutti gli anni trascorsi con un lavoro di ideazione eccezionale: mai scontato seppur mantenendo ad hoc la forma generale del film in cui a perdersi fu il piccolo pesce pagliaccio con una pinna atrofica.
Inutile raccomandarvi la visione del commuovente corto animato prima dell’inizio del film. Il suo titolo è Piper e racconta con estrema dolcezza le vicissitudini di uno stormo di uccelli nella proverbiale corsa contro il tempo per nutrirsi dei paguri visibili sul bagnasciuga soltanto nei pochi istanti di risacca delle onde.
E, per quest’anno, ricordate di segnare il 15 settembre sul calendario non soltanto per l’inevitabile ritorno tra i banchi di scuola, ma anche per tenere a mente l’uscita nelle nostre sale di quello che siamo sicuri sarà l’ennesimo film Pixar destinato ad entrare nei cuori di tante generazioni di pubblico.