E se Mario Bava…?
Durante i giorni di questo tiepido ottobre sta andando in scena al Festival internazionale del cinema di Roma una rassegna con i grandi registi di genere horror italiano, tra questi notiamo anche il buon Mario Bava. Priorio di lui oggi andremo a trattare e del perchè, nel corso delle sua illustre carriera cinematografica si stato “infamemente” bollato come regista di serie b. Da premettere che oggi non essendoci pià un cinema di genere italiano è semplice delineare un profilo del regista sanremese, scomparso agli inizi degli anni ’80. La sua carriera è stata spesso costellata da film a abasso budget con attori non sempre eccelsi e che magari rischiavano o hanno rischiato di impoverire la vera opera tramandata da Bava stesso. Basti ricordare pellicole come “La maschera del demonio” che fu il primo horror gotico italiano, oppure “La ragazza che sapeva troppo” del 1962 che di fatto inventò il genere del giallo all’italiana, “Roy Colt & Winchester Jack” del 1970 fu uno tra i primi Spaghetti western comici, “Cani arrabbiati” è stato l’antesignano del cinema pulp, mentre “Reazione a catena” del 1971 aprì il filone degli slasher movie. Insomma, una carriera senz’altro costellata di grandi successi, ma sempre postumi. Nel corso degli anni numerosi registi si sono ispirati al suo modo di girare e spesso hanno tratto “insegnamento” dalle sue trovate geniali, come ad esempio il genere degli slasher movie (un genere appartenenate alla categoria horror con un assassin, quasi mai in primo piano e possedente un coltello con il quale uccide le sue vittime) reso celebre da capolavori, senz’altro più fortunati come “Halloween – La Notte delle Streghe” di John Carpenter del 1978.
Mi piacciono molto anche i film di Mario Bava, nei quali non c’è praticamente storia, solo atmosfera, con tutta quella nebbia e le signore che camminano lungo i corridoi: sono una sorta di gotico italiano. Bava mi sembra appartenere al secolo scorso.
Così ebbe da dire qualche tempo fa un certo Martin Scorsese, dimostrando l’internazionalità del cinema di Bava. Nelle sue pellicole traspare sempre un’aria armonica, sorniona a tratti anche spassosa che viene poi rotta incredibilmente da un omicidio improvviso, quasi inaspettato dai protagonisti e dal pubblico. In “5 bambole per la luna d’agosto” questa atmosfera alquanto ridicola viene rotta da una serie di omicidi e l’intreccio è particolarmente interessante. L’epilogo lascia trasparire sempre un’ironia pungente e accattivante, quasi a voler collegare il piacere della mondanità all’omicidio, quindi uccidere potrebbe essere un piacere dannatamente divertente. Nel corso degli anni altri registi hanno reso omaggio ai film di Mario Bava, tra questi vi troviamo Tim Burton che nel suo Mistero di Sleepy Hollow cita esplicitamente “La maschera del demonio”. Inoltre rimase molto sorpreso quando, durante la presentazione del suo film avvenuta a Roma, alcuni giornalisti italiani dichiararono di non conoscere Mario Bava. Anche Quentin Tarantino ha spesso dichiarato che dietro ogni sua inquadratura c’è il genio di Mario Bava. Le dichiarazioni di questi registi sono contenute nel documentario trasmesso da Sky nel 2004, Mario Bava – Operazione Paura, diretto da Gabriele Acerbo e Roberto Pisoni. Il documentario contiene inoltre interviste e dichiarazioni di Dario Argento, Daria Nicolodi, Dino De Laurentiis, Ennio Morricone, Roger Corman, Mario Monicelli, Sergio Stivaletti, Lamberto Bava, Roman Coppola, John Philip Law, Elke Sommer e Alfred Leon. Lo stesso Corman ebbe da dire:
Il suo genio, e il lascito per quelli che vengono dopo di lui sta nel fatto che qualunque siano le condizioni, si possono fare magnifici lavori.
Dimostrando di fatto l’immortalità e l’imprescindiblità dei film di Bava. La tecnica usata principalmente nell sue pellicole è l’uso espressionistico del colore. In film come “Sei donne per l’assassino” e “Terrore nello spazio” mostrano colori intensi e accesi che aggrediscono e ipnotizzano lo spettatore. Anche le stesse scenografie sono una parte fondamentale del lavoro di Bava, soprattutto nei suoi horror gotici come “Operazione paura”, “I tre volti della paura” e “La maschera del demonio”. Significative anche le scenografie dal gusto pop per “Diabolik”. Lo stilema stilistico più noto di Bava fu lo zoom, espediente molto utilizzato nel cinema di genere italiano degli anni sessanta e settanta. Bava fu uno dei primi registi italiani ad utilizzarlo intensamente, e lo inseriva nei suoi film spesso in maniera considerata esagerata da alcuni critici (come in “5 bambole per la luna d’agosto” o “Terrore nello spazio”). Grazie anche al suo ingegno e ai trucchi scenici già citati, riuscì a far sembrare imponenti alcune ambientazioni girate in realtà con mezzi e budget davvero molto esigui. Anche dal punto di vista della sceneggiatura le sue pellicole fecero scuola: molte sue idee narrative, soprattutto riguardanti le storie del terrore, nonostante venissero spesso improvvisate durante le riprese con attori a volte molto scadenti, vennero omaggiate o riutilizzate dai registi di generazioni successive (sia italiani che stranieri). Insomma Mario Bava ha rappresentato per il cinema italiano e internazionale una straordinaria fonte d’ispirazione, riuscendo ad essere con il tempo rivalutato e giudicato per il suo reale valore; uno straordinario artista visionario. Chapeau Mario.