David Fincher: 5 perle cinematografiche di un perfezionista della settima arte
David Andrew Leo Fincher (artisticamente semplificato in David Fincher) è un regista statunitense, noto per la maniacale cura, di stampo kubrickiano, con cui cura la realizzazione di ogni singolo fotogramma delle opere dirette. Un regista che ama mettere in luce (ma non in senso visuale) le “zone d’ombra” della personalità umana, spesso determinate non tanto da una natura malefica quanto dalla varietà di prospettive – non sempre afferrabili ad un’analisi superficiale – dalle quali ogni essere umano approccia l’esistenza.
Analisi psicologica, critica della società, un’esplorazione dalle caratteristiche a tratti predicatorie, che fa di David Fincher un regista tanto amato quanto “fastidioso”, ambiguità spesso conseguenza di un grande talento, fatto di una rara capacità di toccare le corde giuste, provocando reazioni inevitabilmente opposte, ma mai deboli o superficiali.
Una carriera, quella di David Fincher, che comprende due nomination all’Oscar e la conquista di un Golden Globe, la cui grande ambizione fu evidente fin dal pretenzioso esordio, nel 1992, alla regia del terzo capitolo della saga di Alien (poco adatta all’esaltazione dello stile cupo ed introverso, caratteristico del regista) ma subito risollevata con la realizzazione del suo primo grande capolavoro, Seven (1995), divenuto rapidamente un film culto.
Scopriamo adesso 5 fra le opere che meglio sintetizzano il perfezionismo e le tematiche alla base della poetica di David Fincher
The Social Network (2010)
Il film che valse a Fincher la nomination all’Oscar e la conquista del Golden Globe per la miglior regia, vede alla sceneggiatura il sostegno di Aaron Sorkin per raccontare, attraverso azioni rapide e dialoghi serrati, l’ascesa di Mark Zuckerberg come re dei Social Network, grazie alla controversa paternità di Facebook. Un taglio che – in perfetto accordo con il gusto e lo stile del regista – lascia da parte i fatti nudi e crudi per trattare le dinamiche interpersonali alla base dell’enorme ed ingestibile successo del giovane Mark, un nerd all’apparenza come molti altri trovatosi improvvisamente travolto da un enorme successo ed incapace di gestirlo.
Una regia che mira ad evidenziare l’altra faccia della medaglia della realizzazione, fatta di opportunismo, voltafaccia e necessità di rinnovare i rapporti in funzione della propria nuova identità. Una prova eccellente per Fincher ed il cast (Jesse Eisenberg ed Andrew Garfield in testa), che dimostra, pur con qualche complessità di troppo dato il tema trattato, l’abilità di Fincher nell’esplorare ogni più sottile sfaccettatura delle interazioni umane.
Il curioso caso di Benjamin Button (2008)
Altra nomination all’Oscar per David Fincher, il film si basa sul racconto breve di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato nel 1922. Una storia raccontata attraverso un lungo flashback, in cui l’anziana Daisy, ormai prossima alla fine dei propri giorni, fa leggere alla figlia Caroline un diario scritto molti anni prima da Benjamin Button, il grande amore della sua vita, vissuto con lo straordinario quanto ambiguo dono di essere nato vecchio per diventare progressivamente sempre più giovane.
Un’ottima prova per Brad Pitt e Cate Blanchett, alle prese con il delicato tema del senso della vita e dei possibili vantaggi di un’esistenza al contrario, destinata a finire con l’inconsapevole felicità di un neonato, anziché con la triste coscienza del decadimento del proprio corpo, ma che manca forse di un messaggio superiore definito, presenza invece costante nelle opere migliori di Fincher, il cui apice andremo ora ad affrontare.
Fight Club (1999)
In una delle opere più straordinarie di David Fincher, assistiamo all’eccezionale abilità del regista nell’assumere lo sconclusionato punto di vista del narratore, offrendo un’esperienza cinematografica schizofrenica quanto esaltante.
Fight Club è un film folle che, partendo dall’esperienza tangibile dei suoi stessi instabili protagonisti, parla delle varie implicazioni della dipendenza e dei programmi di auto-aiuto, spesso deleteri laddove alla base manca una solida impalcatura di personalità ed il confine fra reale sollievo e semplice distrazione dalla fonte del proprio dolore diviene pericolosamente flebile.
Ancora, Fight Club è un ironico quanto geniale quadro dell’alienazione dell’uomo moderno che – reso anestetizzato dal dilagante consumismo – ha bisogno di alzare notevolmente il livello di intensità degli stimoli ricevuti, per sentirsi ancora vivo.
Una delle migliori interpretazioni di Edward Norton e Brad Pitt, coronata dalla colonna sonora prodotta dai Dust Brothers e dall’eloquente brano finale, Where is my mind dei Pixies.
Se7en (1995)
La seconda opera della filmografia di David Fincher ha rapidamente messo d’accordo pubblico e critica circa le potenzialità dell’esordiente regista. Se7ven è un film semplicemente geniale, dotato di una sceneggiatura, firmata Andrew Kevin Walker, nella quale è davvero difficile rintracciare un difetto. Un film in cui il gusto per le atmosfere cupe del suo ideatore raggiunge uno stile a cavallo fra il thriller poliziesco e l’horror.
Ispirata al romanzo di Andrew Kevin Walker, la trama ruota attorno alle vicende del detective William Somerset (Morgan Freeman), un poliziotto prossimo alla pensione, ormai demotivato e tristemente rassegnato al degrado criminale dilagante della città in cui vive e lavora. Una settimana prima di ritirarsi definitivamente dalla professione, gli viene affiancato il giovane sostituto David Mills (Brad Pitt), un uomo dal temperamento opposto rispetto a Somerset, impulsivo e ben lontano dalla ponderata saggezza con la quale l’anziano detective ha condotto la sua carriera ormai agli sgoccioli. Inizialmente fra i due non corre buon sangue ma, quando verrà loro assegnato uno strano caso di omicidi seriali – che si scopriranno poi collegati ai sette peccati capitali – i due poliziotti saranno costretti a collaborare.
Un film reso memorabile da una fotografia che segue l’angoscia crescente della trama, attraverso sapienti variazioni cromatiche, e dall’eccezionale prestazione attoriale (senza nulla togliere a Freeman e Pitt) di uno dei più grandi attori viventi, qui nell’esaltante parte del cattivo: l’immenso Kevin Spacey.
Se7ven, al di là del semplice piacere per una trama che scorre e si articola con maestria, offre anche un messaggio profondo, evidente proprio nel contrasto fra gli atteggiamenti dei due protagonisti principali: l’uno annichilito e disilluso dall’esperienza in uno spazio urbano talmente desolante da assumere le caratteristiche di un girone infernale, l’altro ancora mosso da un fervido idealismo, i due poliziotti mostrano due prospettive della realtà entrambe valide ma alla base di due approcci all’esistenza totalmente differenti.
Zodiac (2007)
Con Zodiac, giungiamo finalmente all’apice della nostra classifica: un thriller poliziesco dalle atmosfere misteriose e dagli sfumati connotati horror in cui, ancora una volta, i protagonisti si muovono alla ricerca della verità. Una verità che metta in luce l’identità dell’assassino seriale chiamato Killer dello Zodiaco che, come illustrano i libri di Robert Greysmoth dal quale il film è tratto, durante gli anni sessanta e settanta sconvolse San Francisco con i suoi efferati delitti, rivendicando ogni omicidio con una lettera spedita ai principali quotidiani locali. Sulle tracce del criminale, oltre alla polizia, si mettono anche un giornalista alla ricerca di uno scoop (Robert Downey Jr) ed un vignettista appassionato di codici di enigmistica (Jake Gyllenhaal).
In Zodiac David Fincher, come suo solito, non si attiene tanto ai fatti quanto alle reazioni che gli sconcertanti eventi suscitano nelle persone che ne sono toccate e le relative dinamiche che si creano fra loro. Il risultato è un film ossessivo, che scava nella relazione fra individui e mass media con un taglio che potrebbe risultare pesante, ma che rivela tutta l’essenza di un cinema capace di emozionare portando sulla pelle dello spettatore i sentimenti controversi dei personaggi.