Paradise Beach – Dentro l’incubo: recensione del film con Blake Lively
Prendete una bella ragazza, il mare cristallino che bagna la sabbia bianca e sottile di un luogo sperduto, baciato dal sole e tamburellato dalle onde, uno squalo bianco inferocito e avrete creato Paradise Beach – Dentro l’incubo, che si aggiunge alla lista degli shark movie volenterosi di intrattenere il distratto pubblico estivo con un mix di bellezza e suspense.
Se l’obiettivo del regista catalano Jaume Collet-Serra era quello di confrontarsi con il capolavoro del genere allora possiamo dichiararlo un fallimento; viceversa, se l’obiettivo è regalare un film in grado di suscitare brividi poco pretenziosi, visivamente accattivante e basato perlopiù sulla bellezza acqua e sapone della sua attrice protagonista, Blake Lively, allora ha fatto centro!
Lo sceneggiatore Anthony Jaswinski mette in piedi una storia piuttosto scarna che, al pari della macchina da presa, tende a lasciarci vagare sulla superficie, ipnotizzandoci con la magia dei raggi solari e la schiuma marina bianca come albume appena montato a neve.
L’affascinante studentessa di medicina Nancy Adams, interpretata da una spigliata Blake Lively, si reca in Messico dopo la morte della madre, alla ricerca della paradisiaca spiaggia nella quale la genitrice si era recata quando era incinta di lei. Ciò che vuole è semplicemente isolarsi dal mondo e far l’amore col creato surfando tra le onde dell’Oceano, peccato che uno squalo provvede a guastarle la festa!
Paradise Beach – Dentro l’incubo gode, insomma, di una trama lineare e quasi inesistente. La scena è dominata dal fisico perfetto della Lively – ripreso da tutte le angolazioni possibili e immaginabili – e l’interazione con gli altri personaggi è lapidaria e irrilevante; trapela spesso sullo schermo attraverso il riflesso di altri schermi più piccoli e di uso quotidiano, come lo smartphone attraverso il quale la protagonista si mette in contatto con la sorellina o col padre, permettendoci di vagare oltre i confine della spiaggia in cui si svolge l’azione.
Un divagare che, sia chiaro, è abbastanza frammentario. Ogni scena infatti è simile alla seguente e fin dal primo fotogramma in cui lo squalo si palesa agli spettatori sappiamo già che Nancy troverà il modo di salvarsi e che tra le acque si nasconde il suo avversario.
Il vero antagonista di The Shallows, però, è il tempo. La ragazza potrebbe rimanere ancorata a quello scoglio e aspettare i soccorsi, se non fosse spodestata dal suo trono di comando naturale con l’arrivo dell’alta marea. L’orologio che porta al polso diventa dunque un punto di riferimento dentro e fuori dal grande schermo e un ottimo strumento in grado di suscitare inquietudine e lievissimi spaventi (si pensi solo alla scena in cui cronometra i movimenti dello squalo).
Jaume Collet-Serra, tutto sommato, riesce a intrattenere abbastanza decorosamente lo spettatore, che dinnanzi a un’opera come questa non può che cibarsi espressamente con lo sguardo – omettendo analisi, rapporti causa-effetto complessi e ricerca di originalità – e godendosi le immagini da cartolina che location come la Gold Coast e l’isola di Lord Howe (e la fotografia di Flavio Martínez Labiano) sanno regalare.
Così panoramiche, inquadrature dall’alto e dal basso sanno strattonarci tra le onde perfette dell’Oceano e farci cadere, per poi magari riacciuffarci per i capelli e trascinaci in escursioni subacquee, facendoci scoprire la limpida immagine della tavola da surf che galleggia sull’acqua, con la caviglia a penzoloni della Lively. Tutto però, rigorosamente, senza mai trattenere il fiato!
Il finale arriva lentamente, cercando quasi di dilatare leggermente e sproporzionatamente quel famoso lato psicologico a cui si concede lo stesso peso di un granello di sabbia in un’intera spiaggia.
Paradise Beach – Dentro l’incubo (trailer), al cinema dal 25 agosto con Warner Bros., è un thriller che rispetta pienamente la logica del summer movie e i canoni dei moderni film di tal genere, senza aggiungere né togliere nulla e rimanendo un prodotto di mero intrattenimento.