Venezia 73 – Animali Notturni: recensione del film di Tom Ford
Tom Ford è il primo maestro di questa Venezia 73 a portare, con Animali Notturni (Nocturnal Animals), una critica destrutturante al genocidio mentale della società odierna che continua a condizionare le nostre vite, le quali sono state usurpate delle proprie decisioni, delle proprie azioni.
I protagonisti di questo monito sono Jake Gyllenhaal e Amy Adams, esempi sinottici di come bravura, successo e realtà possano essere misurati, rapportandosi con una pellicola che ferisce anche l’ego più smisurato ed insegna come e quando guardarsi allo specchio.
Susan Morrow dirige un museo d’arte contemporanea in cui si tiene l’inaugurazione di una mostra molto particolare: le opere d’arte sono donne formose e dai corpi visibilmente decadenti, che si esibiscono, danzano e sfoggiano le proprie curve con disinvoltura quasi magnetica. Susan è una donna insoddisfatta, nonostante la propria condizione non sia totalmente da biasimare, è sposata con un uomo d’affari Hutton Morrow (Armie Hammer) il cui unico affare che riesce a concludere è di renderla incredibilmente infelice.
Una mattina, mentre è a lavoro, Susan riceve un pacco all’interno del quale trova un manoscritto con biglietto, è un romanzo, Animali Notturni, composto dal suo ex marito Edward Sheffield (Jake Gyllenhaal) col quale non ha a che fare da diciannove anni; Edward la invita a leggerlo e a farle sapere cosa ne pensa al più presto. Ad una prima lettura Susan nota subito che il manoscritto è dedicato a lei e che il titolo in qualche modo le ricorda una frase che le ripeteva Edward quando stavano assieme.
In un momento di solitudine inoperosa e di incessante insonnia Susan si convince e comincia a leggerlo con curiosità.
La storia di Animali Notturni è incentrata su un tale Tony Hastings (incarnato da Jake Gyllenhaal) che parte con la moglie e la figlia per un viaggio in Texas e che durante la notte vengono speronati da una banda di carogne a caccia del proprio personalissimo sollazzo quotidiano.
Sono in tre nella macchina ad infastidirli con sorpassi, urla e spintoni bruschi; la famiglia Hastings è visibilmente terrorizzata anche dal fatto che è notte, non c’è nessuno che li possa soccorrere e i telefoni non prendono minimamente. Il capo branco Ray Marcus riesce a farli fermare, dividendo Tony dalla moglie e la figlia: due di loro le portano via con la loro macchina tra il terrore e le grida mentre un terzo, Lou, dopo averlo malmenato, abbandona Tony in una radura desolata al buio.
La lettura è molto violenta, Susan si sottrae a quelle parole come se si svegliasse da un incubo, l’estenuante vicenda le fa temere per sua figlia, di cui non fa mai accenno durante la pellicola, che chiama con timore e incertezza cercando di apprendere se stesse bene.
Dopo un attimo di panico riprende con il romanzo, ammaliata dalla narrazione come se qualcuno le stesse parlando sotto voce. Tony, dopo essere stato gettato fuori dalla macchina dal malvivente, si ritrova solo in una pianura texana. Corre alla ricerca delle sue amate donne, trova una casa nella desolazione di quel luogo e finalmente riesce a raggiungere una stazione di polizia in cui il tenente Bobby Andes (Michael Shannon) lo aiuta a rintracciare la moglie e la figlia, prendendo molto a cuore il suo caso.
Susan è sempre più tormentata da ciò che legge, riesce in qualche modo a rivedersi e a riconoscere quell’uomo, Edward, che aveva sempre criticato in passato per la sua scrittura troppo egoriferita, che aveva sempre declinato le sue aspirazioni più grandi, prendendo atto che ciò che era, cioè che viveva era molto più importante di ciò che riusciva ad avere, a possedere: non era interessato alla fama, alla notorietà ma solo a scrivere di sé, della sua vita, dei propri limiti.
Finisce il racconto e ne rimane sconvolta e intristita. Esso risulta essere molto più che una narrazione di un destino rovinoso; è una ritorsione, è la condizione in cui nessuno si vorrebbe trovare, è imboccare strade incresciose, è prendersi le proprie responsabilità, è apprendere la natura delle proprie scelte.
Susan riflette, non dorme, cerca di capire i suoi errori.
Ripensa alla sua vita, alla sua storia con Edward, una storia d’amore abortita dalla sua sete di gloria, deviata e commissionata lentamente dalla società e dalla madre, che in altri momenti aveva grandemente criticato come l’essere più dissonante da sé stessa. Susan ha calpestato le orme della madre, le ha respinte, le ha dissacrate, sputa tutto il veleno che ha in corpo sperando che con un getto d’odio potesse allontanarsi il più possibile da lei, dall’idea che aveva di lei, dalle somiglianze che madre e figlia non sanno di intrattenere e che crede in qualche modo di non poter ereditare.
Animali Notturni (Nocturnal Animals) è la debolezza che si cela dietro ogni decisione, è l’insonnia della mente, il battito che unisce ciò che abbiamo a ciò che avremmo potuto ottenere.
L’insegnamento forse più raggelante che lancia Animali Notturni si dilegua nella sala, tutti possono vederlo ma mai oserebbero alzarsi in piedi per lasciarsi giudicare. Ford urla a gran voce ma le risate, l’applauso finale denota che coloro che hanno apprezzato la drammatizzazione di un romanzo o la storia d’amore decentrata dalla realtà, ha speso più tempo a valutare una pellicola che in realtà nasce per giudicare noi, non per essere giudicata.