On The Road: recensione
Dear Marlon
I’m praying that you’ll buy ON THE ROAD and make a movie of it.
Jack Kerouac, verso la fine del 1957, quando il suo libro aveva finalmente raggiunto il pubblico e il successo, scrisse una lettera appassionata a Marlon Brando pregandolo di acquistare i diritti per farne un film interpretando la parte di Dean Moriarty, riservando a se stesso quella di Sal Paradise. Nonostante le suppliche dello scrittore, Marlone non rispose alla lettera e Sulla strada ha dovuto aspettare cinquantacinque anni prima di arrivare sullo schermo. Prodotto da Francis Ford Coppola, era un suo vecchio progetto di regia dagli anni ‘70, il romanzo-manifesto della Beat Generation è finito nella mani di Walter Salles, già autore del road movie I diari della motocicletta, epico viaggio in Sud America del giovane Ernesto Guevara con Alberto Granado.
Il film è assai fedele al romanzo, narra viaggio e formazione letteraria dello scrittore Sal Paradise (Sam Riley) attraverso gli Stati Uniti. Alla fine del 1940 muore il padre ed egli passa il tempo con Carlo Marx, figura ispirata al poeta Allen Ginzberg (Tom Sturridge) e gli altri Beats della prima ora, quelli di Giovani ribelli (Kill Your Darlings); poco dopo incontra Dean Moriarty (Garrett Hedlund), personaggio basato sull’icona beat Neal Cassady.
Dean è uno spirito libero e selvaggio, un vagabondo senza vincoli familiari, hobo nel corpo e nello spirito, è una molla sempre pronta a scattare.
Vive con una splendida ragazza, Marylou (Kristen Stewart), ma sembra avere altri legami sparsi in tutto il Paese, di cui però non si da troppo pensiero. Altri amici e conoscenti si uniscono a loro sulla strada, e c’è sempre una donna che aspetta da qualche parte. Camille (Kirsten Dunst), con la quale Dean ha una bambina; Galatea (Elisabeth Moss) infuriata con il marito errante Ed Dunkel (Danny Morgan).
Viggo Mortensen e Amy Adams hanno camei eccentrici come Old Bull Lee e Jane (ispirati a William Burroughs e sua moglie Joan Vollmer) una coppia che ospita e dispensa consigli ai giovani viaggiatori, da ciò che piace di più ad un uomo all’uso dell’accumulatore di orgoni progettato da Reich, “cattura gli atomi atmosferici vibranti del principio vitale. La gente ha il cancro perché è a corto di orgoni.” Spiega Bull e li invita a provarlo nel suo giardino. I loro viaggi sbandano tra alcol, marijuana e benzedrina, donne e jazz. Il viaggio conta più della destinazione. «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati». Dove, non importa, l’importante è andare. La meta non è una rivelazione, lo è il viaggio, il vagabondare da una costa all’altra seguendo la strada come un cordone ombelicale, abbandonandosi al piacere di spostarsi, godendo la beatitudine della velocità lungo distanze enormi.
La purezza della strada. La linea bianca in mezzo alla statale si srotolava e abbracciava la ruota anteriore sinistra come incollata al nostro sballo.
Le pause di questo ineluttabile vagabondare sono il jazz e le donne, il jazz che ascoltano in uno stato di trance prolungando la beatitudine del viaggio, e le donne che sono sempre all’orizzonte di ogni partenza ma rappresentano anche legami insostenibili come il rispetto di obblighi ed orari familiari. Dean dice alla moglie Camille (Kirsten Dunst), poco tempo dopo la nascita della loro bambina. “Sal e io andiamo fuori, vuoi venire con noi?” No, ovviamente, lei ha la bambina da guardare. Dean sporge la testa indietro sulla porta: ‘Almeno gliel’ho chiesto’. Lei lo fissa e dice: “So cosa vuol dire lo sguardo sul tuo viso. Sei stufo di me e sei stufo della bambina. Ti rendi conto di quanto ho dato per te?” No, non se ne rende conto, la sua via d’uscita è sempre la fuga. Dean e Sal sono innamorati di Marylou ed ella li ricambia entrambi, facendo anche sesso tutti e tre sul sedile davanti della macchina in movimento, li segue nei loro folli viaggi ma finisce per piantarli e tornare dal fidanzato marinaio, anche questa attrazione pare subordinata al legame affettivo più forte che hanno tra loro.
I viaggi di Sal Paradise, aspirante scrittore, e del suo amico Dean Moriarty, carismatico ladro di automobili, continuano da casa della madre di Sal, a Ozone Park, NY, a Chicago, Denver, San Francisco e poi di nuovo a New York, fino a quando non hanno l’ennesima illuminazione geografica: non sono mai stati a Sud. Si dirigono in Messico, trovando nelle sue lunghe strade polverose tanti cactus allineati, qualche segreto di se stessi, tanta, tanta marijuana ed allegri bordelli. Vivono eroicamente il fumo e il sesso traendo lunghi sorsi da bottiglie di tequila, poi Sal si ammala e Dean lo abbandona febbricitante nel letto di una squallida camera d’albergo.
Una rottura definitiva che mostra Dean come un narcisista innamorato solo di se stesso ed incapace di resistere alla pulsione di partire. Per lui fermarsi troppo tempo equivale a morire, il movimento è una tensione estrema verso l’estasi. Il vero Dean, Neal Cassady, visse interamente seguendo questo irrefrenabile impulso, nel 1964 divenne l’autista ufficiale dei Merry Pranksters, il gruppo di amici di Ken Kesey (l’autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo) che si muoveva on the road su uno scuola-bus decorato con disegni psichedelici, rievocato in Across the Universe di Julie Taymor. Nelle lettere che scriveva a Kesey, Neal descrive lo stretto legame tra la meccanica dell’automobile ed i corpi che porta in giro, legame inscindibile tra il viaggio e la vita stessa, quasi fossero una cosa sola e un unico godimento possibile.
Dean diventa infine la materia narrativa principale dello scrittore Sal, dopo che lo incontra su un marciapiedi di Manhattan in una fredda sera alla fine del 1950 e, tornato a casa, comincia a scrivere la sua prosodia be-bop infilando nella macchina da scrivere il famoso rotolo di 37 metri. Seguendo un vago e struggente rimpianto:
Così in America quando il sole tramonta e me ne sto seduto sul vecchio molo diroccato del fiume a guardare i lunghi lunghi cieli sul New Jersey e sento tutta quella terra nuda che si srotola in un’unica incredibile enorme massa fino alla West Coast e tutta quella strada che va e tutta quella gente che sogna nella sua immensità e so che nell’Iowa a quest’ora la stella della sera sta tramontando spargendo le sue fioche scintille sulla prateria prima dell’arrivo della notte fonda che benedice la terra oscura tutti i fiumi avvolge le vette e rimbocca le ultime spiagge nessuno sa cosa accadrà a nessun altro se non il desolato stillicidio della vecchiaia che avanza io penso a Dean Moriarty, penso anche al vecchio Dean Moriarty, il padre che mai trovammo. Penso a Dean Moriarty, penso a Dean Moriarty.
E’ un bel film eppure non soddisfa il desiderio di trovare la forma cinematografica a On the Road. La messa in scena di Salles è molto efficace, con musiche di Gustavo Santaolalla, fotografia di Eric Gautier, montaggio di Francois Gedigier, costumi di Danny Glicker, è perfino esagerata nella reviviscenza dell’epoca, decorata fino all’eccesso di particolari inutili che alla fine la rendono ridondante ed ammirata dei personaggi letterari, quasi un omaggio postumo all’elegia della Strada e a quello che il movimento Beat rappresentò per una breve stagione negli USA. Un film su On The Road bisognava pur farlo ma questo di Salles e Coppola non riesce ad avvolgerci pienamente nell’immaginario libero ed anarchico degli angeli ribelli di Kerouac nell’America di Mc Carthy, l’unica battuta effervescente è di Carlo Marx/Allen Ginzberg:
So che non c’è oro alla fine dell’arcobaleno, c’è solo merda e piscia, ma sapere questo mi rende libero.
Se Marlone avesse ascoltato Kerouac forse avremmo avuto un film più sperimentale, con meno rispetto e meno timor sacro nel raccontare l’esistenza nomade, anfetaminica e allucinata di una generazione di poeti interessata alle persone pazze
ai pazzi della vita, pazzi delle parole. Vogliose di ogni cosa allo stesso tempo. Quelle che non sbadigliano mai, o dicono un luogo comune, ma bruciano. Bruciano. Bruciano come fuochi d’artificio nella notte.
Nel 1957 gli scapestrati, gaudenti e disperati Beats erano vivi, scrivevano e correvano ancora nelle loro macchine-alcove, erano circondati dai bagliori veri della loro esplosione trasgressiva e non dal vacillante riverbero della San Francisco Bay cercato cinquantacinque anni dopo.