I nostri ieri: recensione del film di Andrea Papini
Dopo l’anteprima ad Alice nella Città alla 17esima Festa del Cinema di Roma, il dramma carcerario di Andrea Papini con Peppino Mazzotta, Francesco Di Leva, Daphne Scoccia e Maria Roveran, esce nelle sale a partire dal 9 febbraio 2023.
ll carcere ha spesso fatto da ambientazione o da cornice a storie destinate al grande e al piccolo schermo, così tante nei decenni passati e più recenti da rendere necessaria la creazione di un filone che le potesse raccogliere e identificare sotto un unico nome. È nato da qui il cosiddetto prison-movie, sotto-genere che come si evince accorpa tutti quei prodotti audiovisivi, indipendentemente dal formato e dal tono, che hanno come elemento comune il luogo di detenzione per antonomasia. Nella sterminata filmografia che lo ha visto protagonista di vicenda e odissee senza appello e speranza, nelle quali al dolore e alla violenza se ne andavano a sommare e sovrapporre di ulteriori, c’è e c’è stato spazio anche per storie di perdono, redenzione e tentativo di rinascita, in cui l’Arte nelle sue diverse espressioni ha permesso ai personaggi o alle persone di trovare una nuova strada o “evadere” anche solo per un momento dalle mura e dalle sbarre che li tengono lontani da quello che c’è fuori, vale a dire gli affetti e il mondo. Tra gli ultimi film a rendere questo possibile attraverso il potere “taumaturgico” dell’Arte, in questo caso della Settima, c’è il nuovo film di Andrea Papini dal titolo I nostri ieri, in uscita nelle sale a partire dal 9 febbraio 2023 con Atomo Film dopo la presentazione in anteprima nella sezione Panorama Italia di Alice nella Città nell’ambito della 17esima Festa del Cinema di Roma.
I nostri ieri è un dramma metalinguistico, nel quale il cinema incontra se stesso all’interno di un carcere
Per il suo ritorno dietro la macchina da presa in un lungometraggio a distanza di qualche anno da La velocità della luce e La misura del confine, il regista piemontese abbandona i territori del thriller e del noir per concentrarsi su un dramma puro, nel quale il l cinema s’incontra con se stesso all’interno di un carcere. Un incontro reso possibile dal metalinguaggio che permette a un’espressione artistica di mescolarsi per parlare di vita all’interno di una prigione. In precedenti come Cesare deve morire dei fratelli Taviani o il più recente Grazie ragazzi di Riccardo Milani il cinema si mescola con il teatro, mentre nel documentario A tempo debito di Christian Cinetto è l’audiovisivo a dialogare con se stesso quando una piccola troupe entra nella Casa Circondariale di Padova per tenere un corso di cortometraggi. Dopo un casting in piena regola, su 40 detenuti che si presentano, ne vengono scelti 15, di 7 nazionalità diverse, tutti in attesa di giudizio. Il risultato è un percorso di conoscenza di sé e degli altri, al di là delle differenze e delle colpe, ma anche un’occasione per raccontare e raccontarsi. Lo stesso che accade, seguendo altre traiettorie, nella pellicola di Papini, che mette in scena un complesso e intenso giro di vite che si sviluppa intorno all’incontro tra un documentarista, un detenuto che gli racconta la sua storia ed una vittima.
Papini si è approcciato alla materia narrativa e ai personaggi con delicatezza e in punta di piedi, senza indugiare più del dovuto sulla sofferenza
In I nostri ieri, queste tre esistenze si intrecciano dentro e fuori dal carcere per dare forma e sostanza a un film che parla del loro tempo, presente e passato, in previsione del futuro, ma anche di legami, di esclusione (materiale, affettiva e sociale) e di riscatto individuale e collettivo. Un “magma incandescente” di temi universali e sensibili che Papini sin dalla fase di scrittura riesce a tenere insieme, facendoli coesistere in maniera equilibrata, per poi trasferirli sullo schermo con leggerezza e lontano dalle sabbie mobili del pietismo, della spettacolarizzazione del dolore e del didascalismo. Quelle stesse sabbie mobili che sono solite inghiottire plot e personaggi simili per DNA a quelli che animano l’opera terza del regista piemontese. Quest’ultimo al contrario si è approcciato alla materia in questione con delicatezza e in punta di piedi, senza indugiare più del dovuto sulla sofferenza che era già insita nella storia e nel background delle figure chiamate in causa, tanto principali quanto secondarie, preferendo ad essa il dialogo, la riflessione e gli sguardi.
I nostri ieri è un dramma stratificato, intriso di significati e significanti, che ha il merito tra gli altri di lasciare fuori campo la violenza e di non esibirla
Un risultato che Papini è riuscito ad ottenere anche grazie al contributo davanti la macchina da presa di un cast ben assortito composto tra gli altri da Peppino Mazzotta, Francesco Di Leva, Daphne Scoccia e Maria Roveran. Con la loro complicità, il cineasta ha potuto costruire un dramma stratificato su più livelli, intriso di significati e significanti, che ha il merito tra gli altri di lasciare fuori campo la violenza (il delitto compiuto dal camionista Beppe) senza esibirla e di rendere molto bene quel confine tra dentro e fuori che tanti film a sfondo carcerario danno troppo per scontato.