Lo strangolatore di Boston: recensione del film con Keira Knightley
Lo strangolatore di Boston vi racconterà il caso del primo serial killer da un punto di vista diverso da quello a cui siete abituati. Disponibile su Disney+ dal 17 marzo.
Il thriller true-crime ispirato a quello che è considerato il primo serial killer della storia sta per arrivare su Disney+ a partire dal 17 marzo. Ne Lo strangolatore di Boston il regista e sceneggiatore Matt Ruskin (Il coraggio di lottare) ripercorre le origini di alcuni dei crimini più efferati della storia, commessi tra il 1962 e il 1964 a Boston e le cui vittime erano donne innocenti di età compresa tra i 18 e gli 85 anni. A guidare la ricerca del killer è Keira Knightley, insieme a Carrie Coon (Fargo, The Gilded Age), che nel film interpretano rispettivamente Loretta McLaughlin e Jean Cole, due giornaliste del Record American che per prime si interessarono a trovare il colpevole, andando contro il loro stesso giornale e team in un ambiente prevalentemente maschile e successivamente anche contro le forze dell’ordine, in quegli anni ancora impreparate a gestire un caso di così grande portata.
Un film di donne per le donne, questo è essenzialmente Lo strangolatore di Boston. Già in passato era stato realizzato un film omonimo incentrato sulla medesima vicenda – uscito pochi anni dopo la condanna dell’assassino e la chiusura del caso – ma da un punto di vista diverso e con altri protagonisti: Tony Curtis nei panni del presunto killer Albert DeSalvo ed Henry Fonda e George Kennedy rispettivamente nei panni dei due detective che seguivano il caso, John S. Bottomly e Phil DiNatale. Ciò che rende il nuovo adattamento unico e differente rispetto al predecessore è proprio il fatto che il film di Ruskin si concentra sulle due giornaliste che hanno messo sotto i riflettori questi tragici delitti; non è il solito film basato su due detective che cercano di trovare il colpevole, ma una storia di donne che vogliono la verità per rendere giustizia alle povere vittime uccise ingiustamente.
Lo strangolatore di Boston racconta le donne in un mondo prettamente maschilista
Il regista Matt Ruskin non punta i riflettori sulle molteplici facce del killer e sull’enigma che circonda la vera identità dell’assassino, ma come anticipato, si sofferma sulle giornaliste Loretta McLaughlin e Jean Cole, le quali, oltre a doversi affermare in un “oceano di squali”, che preferisce ritrarle inizialmente come “pazze”, “donne visionarie”, devono riuscire a conciliare in tutto questo anche la loro vita privata. Una sfera intima che, purché permissiva, tende a osservarle e a giudicarle sempre di più da lontano fino a giungere a puntare il dito contro la loro volontà di affermazione e giustizia. Il film è intitolato Lo strangolatore di Boston, ma in realtà ha poco a che fare con quello che viene considerato il primo serial killer della storia. Tutti hanno sentito parlare dell’assassino che ha tormentato Boston negli anni ’60, ma nessuno conosce i nomi delle persone, delle donne, che hanno lottato contro i propri colleghi e la propria famiglia per mettere in luce la serie di omicidi che sono stati perpetrati.
Un racconto femminista in cui molte donne si possono immedesimare, in cui non emerge solo una volontà di affermarsi professionalmente, ma anche una necessità di mostrare “sorellanza”, vicinanza a delle simili che hanno avuto un destino di certo molto più sfortunato. Loretta McLaughlin è una pioniera del suo tempo, rivelata solo adesso a distanza di decenni, che ha permesso di considerare le donne non più solo semplici vittime o damigelle in pericolo, ma vere e proprie avventuriere. Non importava che la sua famiglia venisse minacciata, che la sua stessa vita fosse messa in pericolo, l’importante era far venire a galla la verità o avvicinarsi il più possibile a quella che poteva essere, per rendere giustizia alle povere donne uccise.
La Boston degli anni ’60 rivive in una storia d’amore sui casi investigativi al femminile
Il regista Matt Ruskin riesce a raccontare una delle vicende più terribili della storia del crimine anche da un punto di vista romantico. Lo strangolatore di Boston può essere considerato una storia d’amore sui casi investigativi al femminile: oltre alla volontà di trovare il colpevole, Loretta McLaughlin e Jean Cole amano profondamente la loro professione e questo Ruskin lo ritrae con ferma convinzione, riuscendo anche a ricreare delle immagini delle due protagoniste che sono uscite nei giornali dell’epoca. Un plus sono indubbiamente Keira Knightley e Carrie Coon, rispettivamente le interpreti di Loretta e Jean, che sembrano nate per vestire i panni delle due giornaliste. La Knightley è in grado, anche solo in uno sguardo, di fare sue tutte le convinzioni e i desideri del suo personaggio, risultando la reporter forse un po’ più utopica tra le due, ma non per questo meno determinata a raggiungere il suo scopo. La Coon, invece, riesce a impersonare anche solo dalle sue movenze il pragmatismo della sua Jean, un personaggio sicuramente con più esperienza che, ciò nonostante, non entra in disaccordo con Loretta, ma anzi crea un vero e proprio legame di solidarietà femminile, che non è scontata.
Un plauso anche al resto del cast, in primis a Chris Cooper nei panni del direttore del Record American Jack MacLaine, Alessandro Nivola nei panni del Detective Conley e David Dastmalchian in quelli del presunto assassino Albert DeSalvo, tutte egregie co-star che fanno da spalla agli sforzi delle due reporter interpretate dalla Knightley e dalla Coon e che, attraverso i loro personaggi, riescono a trasmettere la visione della società dell’epoca. Boston è allo stesso tempo protagonista e osservatrice in disparte della vicenda, in quanto fa da sfondo tacitamente alle terribili vicende, ma è l’unica vera detentrice della verità, una verità a cui ci siamo avvicinati solo grazie all’impegno e alla dedizione di Loretta McLaughlin e Jean Cole.