Yellowstone – stagione 5: recensione della prima parte della serie TV
La recensione della prima parte della quinta stagione di Yellowstone, drama western di Taylor Sheridan, interpretata da Kevin Costner.
Laddove la quarta stagione di Yellowstone concludeva, ossia nel timore di John Dutton (Kevin Costner) che il figlio adottivo Jamie (Wes Bentley) fosse definitivamente perduto, dopo avergli ordinato – o quasi – l’assassinio del padre biologico, nonché criminale comprensibilmente non nelle grazie della famiglia Dutton, dopo aver tentato in ogni modo di distruggerla, riprende la quinta stagione che con una prima parte di otto episodi torna a raccontare ciò che accade alla famiglia più famosa del West del 21° secolo, destinata a lasciarci con quella che sembra essere a tutti gli effetti un’ultima stagione, che si concluderà nella sua interezza con una seconda parte, il cui numero d’episodi è tutt’oggi sconosciuto e che verrà distribuita da qui ad alcuni mesi.
Prima ancora d’essere narrazione dura e pura da western classico, quella di Yellowstone non smette di rifarsi ad un immaginario televisivo che guarda tanto alla soap, quanto al dramma familiare ormai sempre più in voga, divenendo in qualche modo la Succession del West che tra faide familiari, scontri tesissimi e logoranti, e dinamiche societarie, politiche ed economiche, non desidera altro che raccontare la disperazione e il male che nasce e genera la famiglia, per poi giungere al caos, alla morte e alla distruzione di un vero e proprio impero, quello dei Dutton, gestito e custodito scrupolosamente dal patriarca John, senza tuttavia disdegnare un certo gusto per il kitsch, capace di ricordare costantemente e immediatamente il linguaggio che ha dato vita a Yellowstone, quello televisivo, e ancor più specificatamente, quello televisivo da grande rete familiare e di ampio pubblico qual è Paramount Network, come fosse un vero e proprio marchio di fabbrica.
Osservando questa quinta stagione di Yellowstone nel suo evolversi lento, crepuscolare e sempre più drammatico, viene da chiedersi che cosa sia accaduto tutto d’un colpo, eppure è chiarissimo, Taylor Sheridan che come per le stagioni precedenti scrive e produce l’intera stagione, non fa altro che accompagnare lo spettatore verso l’addio, poiché fin dai primi episodi tutto è più dolente, cupo, rassegnato e in qualche modo pacificatorio rispetto alla sua definitiva sparizione e non vi è alcun momento di delusione o sconforto, poiché la scrittura e l’arco narrativo dei moltissimi personaggi che abbiamo avuto modo di conoscere dalle origini dei Dutton, fino ad oggi, non sembra affatto comunicare un futuro prossimo da scoprire nel tempo e troncato all’improvviso, piuttosto un commiato, speranzoso sì, ma anche decisamente ombroso e malinconico.
Basti pensare alla traccia narrativa che fin dalle primissime stagioni ha assunto in qualche modo la funzione consolatoria nei confronti del pubblico, quella più dolce e priva o quasi di timori, ossia la storia d’amore travagliata, caotica ma inevitabilmente appassionata e romantica tra Beth (Kelly Reilly) e Rip (Cole Hauser), che mutando di episodio in episodio nel corso di questa quinta e apparentemente conclusiva stagione di serie non soltanto rivela le cupe ombre che aleggiano tra i pensieri di Rip, ma anche le certezze mai realmente comunicate ed eternamente sopite di Beth, destinate sempre più rapidamente ad una spaventosa concretezza, quella alla quale chiunque di noi non avrebbe mai realmente voluto assistere, quella realmente inarrestabile e forse per questo incredibilmente spaventosa.
Pur restando la stessa, Yellowstone, il gioiellino seriale di Taylor Sheridan è profondamente cambiata, divenendo via via più adulta, matura, drammatica e fortemente nostalgica rispetto ad un passato idilliaco che ai Dutton è ormai concesso soltanto sognare e più probabilmente ricordare, poiché non soltanto non tornerà più, ma svanirà tristemente ignorato da quegli stessi individui e luoghi che fino a poco tempo prima lo hanno invece conservato e narrato, a favore di un progresso fatalmente distruttivo il cui unico interesse è la completa e drastica trasformazione e cancellazione.
Padri e Figli – Il nucleo di Yellowstone
Sulla regia di ciò che fino ad ora abbiamo visto di questa prima parte della quinta ed attesissima stagione di Yellowstone c’è in realtà molto poco da dire, se non che il duo Stephen Kay – Christina Alexandra Voros funziona a meraviglia, complice un linguaggio televisivo e drammaturgico ormai rodatissimo che Sheridan a partire dalla prima stagione ha saputo con grandissima efficacia gestire e veicolare in funzione di una commistione sempre ben bilanciata tra estetica televisiva ed estetica cinematografica, dunque capace di muoversi dal kitsch, al pacchiano fino alla ricerca più sperimentale e innovativa senza mai eccedere, né in un caso, né nell’altro.
Ancora una volta la scrittura di Taylor Sheridan si rivela di altissimo livello, concentrandosi tanto sui topos della narrazione western, quanto su quelli della famiglia disfunzionale messa in crisi nel corso degli anni – e delle stagioni – da liti, traumi, morti, disgrazie di vario genere, pentimenti, non detti ed enormi rimpianti. Laddove poi la quarta stagione lasciava il suo pubblico di fronte alla grande riflessione sui padri e sui figli e dunque su ciò che significhi adottare un ragazzo, crescerlo e considerarlo proprio erede senza mezze misure, riprende questa quinta che riallacciandosi alla campagna da governatore del Montana di John Dutton, riprende anche tutte quelle altre sottotrame il cui filo conduttore è proprio il legame tra padri – o madri – e figli: Jamie e John, Tate e Kayce, Beth e il figlio che non ha mai avuto e così via.
Dunque il rapporto genitoriale diviene nucleo centrale di una stagione che non sembra più essere interessata alla ricerca e rincorsa continua o meno dell’azione, elemento cardine e perciò inevitabile del cinema e della serialità western, piuttosto la dinamica sociale, più nello specifico familiare, analizzando maniacalmente crepe, disagi e distanze che hanno ridotto la famiglia Dutton a ciò che oggi appare dinanzi a noi, ossia un vero e proprio disastro.
Sorprende l’efficacia emotiva della riflessione sul rapporto genitoriale, ancor più che sia concentrata non sui personaggi che realmente e di fatto hanno avuto figli, bensì su chi non ne ha avuto la fortuna. Ecco che torna la storyline che vede protagonisti Beth e Rip, anche se di consolatorio resta appena qualche istante, poiché la previsione di una fine è costantemente annunciata tra il nostalgico e il cupo proprio dal rapporto che i due vivono in questo modo sempre un po’ sospeso e in bilico tra sensi di colpa per un passato mai dimenticato e timori per un futuro che sembra celare qualcosa di inevitabilmente ed estremamente distante dal gioioso, confortante e dolce.
John Dutton, l’ultimo… dei cowboy
Se c’è un personaggio che più di ogni altro incarna appieno l’estetica e il tono definitivamente crepuscolare di questa quinta stagione è proprio John Dutton, che a differenza delle precedenti stagioni, e forse proprio perché prossimo all’addio, sembra lasciare via via lungo il percorso la carica aggressiva e violenta che l’aveva fino ad oggi contraddistinto, tanto da renderlo quel cowboy veterano d’altri tempi burbero e temuto ma in fin dei conti comprensivo che nel combattere per la difesa della propria famiglia ad ogni costo, rischiava di rimetterci la sua stessa vita, pur non fermandosi, a favore di una rassegnazione che è cupa e pacificatoria al tempo stesso.
John infatti non ha più alcun timore, non è più interessato alla difesa interminabile del ranch che per lui è stato casa e lavoro dall’infanzia all’anzianità, così come non è più interessato alla violenza come unica soluzione di diatribe e duelli. John osserva silenziosamente, soppesando ogni parola, come solo un grande cowboy, uno di quelli d’altri tempi farebbe. D’altronde è inevitabile che gran parte della credibilità, dello charme e della potenza simbolica e narrativa di John Dutton vengano dalla carriera cinematografica western che è propria di Kevin Costner, una vera e propria icona del racconto della frontiera, da Balla Coi Lupi ad Open Range. Oltretutto ci troviamo di fronte ad una delle migliori prove di carriera del Costner attore, tanto da essergli valsa – piuttosto sorprendentemente, considerati i numerosi contendenti d’altissima qualità interpretativa – la vittoria del Golden Globe per il miglior attore in una serie drammatica nell’edizione 2023.
In conclusione, una quinta stagione che diviene più di ogni altra una vera e propria ballata dolente, intimistica e malinconica su di un vecchio cowboy ma non per questo meno temibile ed esperto di altri, che nel percorrere una volta per tutte il fatidico viale del tramonto non smette di guardare al futuro che sta per lasciare ai suoi figli – o alla serie stessa? – congedandosi dallo spettatore tra la rassegnazione più serena e la consapevolezza più amara e nostalgica di un mito e di un’era che non torneranno mai più, cavalcando ancora una volta fin sulla cima di un promontorio, ricordando a sé stesso e a noi tutti che di John Dutton ne resta soltanto uno e che soprattutto non può che essere lui, l’ultimo dei cowboy.
La prima parte di Yellowstone 5, disponibile a partire dal 1° marzo su NOW.