Creed III – recensione film di Michael B. Jordan
A cinque anni di distanza da Creed II di Steven Caple Jr., la scalata al potere e all’olimpo della boxe di Adonis Creed (Michael B. Jordan), figlio del leggendario Apollo Creed, continua e torna nelle sale cinematografiche internazionali, con Creed III, un terzo capitolo che vede al timone proprio il suo interprete protagonista Michael B. Jordan che non soltanto eredita la regia di un prodotto costruito e modellato sulla propria fisicità e carica divistica, ma ne muta profondamente anche i linguaggi, veicolando il suo terzo atto della saga Creed non più verso il cinema che si prefigge come obiettivo la narrazione sportiva, bensì quello interessato molto più direttamente al racconto della famiglia e del dramma che è proprio della memoria di Adonis e del suo vecchio amico Damian “Dame” Anderson (Jonathan Majors), tra traumi del passato e conseguenze di una violenza a lungo sopita, trattenuta e mai realmente sfogata ed espressa.
Sorprende il cambio di regia, avvenuto con inaspettato successo, considerato che ci troviamo di fronte non ad un piccolo esordio da cinema indie, bensì ad un blockbuster e popcorn movie annunciato e progettato da lungo tempo dall’infernale macchina hollywoodiana e da quelle majors pronte a sbranare e seppellire in caso di insuccesso e ad acclamare in caso di jackpot al botteghino, dinamica che Michael B. Jordan sembra aver appreso immediatamente cimentandosi nella regia del capitolo probabilmente più maturo e nostalgico del fortunatissimo franchise che è ad oggi Creed, un film che guarda al passato pur raccontando l’oggi e che si rifà piuttosto direttamente e con ottimi risultati alle estetiche e tempi di quei cult vecchio stile tra i quali è impossibile non citare Rocky (1976), riallacciandosi perciò alle origini e risultando curiosamente un convincente e potente Déjà-vu, pur trattandosi di materiale nuovissimo.
Star System e Nuove Tematiche
Ma a sorprendere maggiormente è il cambio in sceneggiatura, che vede coinvolti questa volta Keenan Coogler e Zach Baylin. Ecco perché lo stravolgimento dei toni e delle tematiche appare pressoché effettivo, definitivo e annunciato, a partire dalle primissime sequenze che Michael B. Jordan elabora attraverso un dentro e fuori il tempo narrativo del film, tra flashback e improvvisi e destabilizzanti ritorni al presente che altro non fanno se non mostrarci immediatamente quanto il passato di Adonis, quello che ancora non abbiamo conosciuto nei due precedenti film di Ryan Coogler e Steven Caple Jr., abbia avuto un peso enorme sull’emotività e sulla rabbia inespressa del giovane campione cresciuto e spronato dal Rocky Balboa ormai gravemente malato e sul viale del tramonto del Sylvester Stallone visto nei capitoli precedenti.
Perché la scrittura di questo film non vuole altro che questo, il cambiamento, il grande cambiamento, pur guardando a qualcosa che già c’è stato. Da qui prende avvio Creed III, dalla riflessione sugli effetti e le conseguenze di un tempo e di un passato malamente e illusoriamente nascosto sotto di un tappeto logoro e sfilacciato, perciò pronto da un momento all’altro a mostrare tutto ciò che si nasconde sotto di esso, partendo dalle colpe e giungendo alle verità, sfociando poi nell’attesissimo scontro violento sul ring che è spettacolare e catartico al tempo stesso e che conquista lo spettatore come pochissimi altri film sulla boxe hanno saputo fare. Un momento di grande tensione, dinamismo, intensità e adrenalina che solo una sapiente regia sarebbe stata in grado di generare e quella di Michael B. Jordan ci è riuscita senza riserve.
Altro elemento cardine della narrazione filmica di Creed III è proprio il ragionamento sul significato di Star System e carica divistica che Michael B. Jordan elabora mostrandoci quanto il suo Adonis ormai veda sè stesso non per ciò che è, ma per ciò che di lui è stato raccontato e in qualche modo mitizzato dai grandi marchi della moda e dall’industria inarrestabile e onnivora dell’intrattenimento e dello show biz, mondo del quale Adonis non ha mai smesso di nutrirsi, perfino nel corso della sua improvvisa e avversa consapevolezza tra fotografie che ricoprono interi grattacieli, spot televisivi e astri nascenti della boxe che nel loro incespicare presuntuoso, arrogante e in definitiva ingenuo tra i vari tornei della boxe americana e non, s’ispirano a lui, professandosi allievi e diretti eredi, proprio come lui a suo tempo s’era ritenuto allievo di Balboa, specie nella conclusione malinconica del primo capitolo, Creed – Nato per combattere (2015) di Ryan Coogler.
La boxe c’è, sembra dire a tutti noi Michael B. Jordan, ma ciò che più importa è osservarne gli effetti sugli individui che vi hanno preso parte, macinati dalla violenza, dalla spettacolarità e dall’intrattenimento di quel mondo, mutando da atleti ad attori o comunque testimonial o ancora veri e propri divi. È questo il caso di Adonis Creed, che non soltanto non si nasconde, vivendo la sua vita in un maestoso e megalomane attico sulle colline di Los Angeles tra poster di sé stesso affissi su intere pareti e una moltitudine di prodotti e gadget pronti all’uso raffiguranti il suo volto, il suo nome, oppure il suo marchio, ma divertendosi nella sfrenata e auto compiaciuta esibizione pubblica di sé stesso attraverso la presentazione televisiva o nel corso di party ed eventi d’élite di promettenti giovani boxer che come lui puntano al successo. Una scelta quella d’apparire divo che il suo vecchio amico Dame non può che guardare con grande sdegno, ricordando ciò che un tempo era quel giovane pugile ed osservando ciò che oggi è, un interprete, un divo, una comparsa di sé stesso.
Creed III di Michael B. Jordan proseguendo nella sua narrazione pur sempre leggera – poiché è bene ricordarlo, ci troviamo di fronte ad un prodotto confezionato per il grande pubblico, soprattutto quello familiare – non si tira indietro rispetto agli affondi tematici che rendono il film un vero e proprio dramma sui traumi dell’infanzia e la violenza che questi ultimi inevitabilmente generano su quei bambini ormai cresciuti e divenuti uomini irrisolti con un peso emotivo mai realmente elaborato, perciò sofferto, temuto e in qualche modo messo a tacere nella speranza di non vederlo o sentirlo più, ma pur sempre in agguato dietro l’angolo, pronto a tornare.
Il franchise Creed vira verso il dramma
Un film che seppur restando interamente in superficie sembra guardare tanto a Sleepers di Barry Levinson, quanto a Warrior di Gavin O’Connor ragionando su effetti e conseguenze del trauma, della violenza, della frustrazione e della lotta fratricida causata dalla disperazione e dalla competizione dannosa, tutte tematiche che sono proprie della narrazione filmica di Creed III. Ecco dunque che il passato nella sua carica fortemente destabilizzante e visceralmente drammatica torna vestendo i panni di Damian “Dame” Anderson, un vecchio amico d’infanzia di Adonis, che non soltanto desidera ricordargli il mondo dal quale i due provengono, ma anche e soprattutto riprendersi ciò che a lungo ha considerato suo, ovvero il successo che l’amico Adonis ha raggiunto.
Creed III è un interessante, intelligente e senza dubbio spettacolare incontro tra due fratelli uniti e separati al tempo stesso da una colpa e da un trauma univoco che ha reso uno un vero divo e l’altro un disperato, un uomo dimenticato, ultimo tra gli ultimi, che proprio nella consapevolezza di non voler più vivere nell’ombra torna, illudendo quel fratello dimenticato rispetto alla propria volontà di non generare altro male, altra violenza, venendo meno alla promessa fatta appena poco tempo dopo essere ricomparso e tornato alla ribalta, destabilizzando e frantumando attraverso il caos e verità sussurrate e dette soltanto a metà, quell’equilibrio familiare ed emotivo che Adonis ha costruito nel corso di un’intera vita e al quale non desidera affatto rinunciare, a costo di battersi contro quello che non ha mai smesso di considerare il suo stesso fratello, quello dal quale è stato separato se non alla nascita, lungo il percorso frastsgliato della vita.
Pur allontanandosi fortemente dalle estetiche e dai toni dei due precedenti capitoli, Creed III raggiunge l’obiettivo andando perfettamente a segno, operando una matura riflessione molto spesso metalinguistica e cinematografica sul mondo del pugilato, quello che l’intera saga di Rocky ci ha mostrato, così come quella di Creed fino ad oggi illuminando molto più ciò che di positivo quel mondo aveva da raccontare, scegliendo invece di mettere in luce questa volta le ombre e le nebbie che si presentano dinanzi a noi nel corso del frammento più probabilmente interessante, destabilizzante, profondo ed emotivo della sequenza conclusiva sull’incontro tra Adonis e Dame, che vede i due boxare sul ring che non ha pubblico alcuno intorno, soltanto nebbia fitta, silenzi e abbandono.
Un frammento che più di ogni altro si rivela capace di dialogare con lo spettatore rispetto al reale significato del trauma e della lotta tra fratelli. Quello di Michael B. Jordan è un ottimo film e Creed III si rivela senza dubbio il miglior capitolo del franchise, sorprendendo un po’ tutti, tanto per questioni d’esordio, quanto per questioni narrative. Ora non ci resta che attendere il prossimo.
Creed III è al cinema a partire da giovedì 2 Marzo, distribuzione italiana a cura di Warner Bros. Pictures.
Regia 3,5
Sceneggiatura 3,5
Fotografia 3
Recitazione 3
Sonoro 3,5
Emozione 3,5