Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova – recensione docufilm di Giancarlo Scarchilli
La ricchissima – e interminabile – produzione filmica su Pier Paolo Pasolini in un docufilm da non perdere, in sala dal 5 al 7 marzo 2023.
Guardando a Pier Paolo Pasolini – Una visione unica e fermandoci poi ad osservare il cinema nostrano documentaristico e poi quello di finzione dai primi anni ’70 ad oggi, ci rendiamo conto immediatamente, quanto il peso simbolico, incessante, dialogante e controverso non tanto dell’individuo, quanto dell’entità ibrida Pasolini, sempre in movimento tra cinema, letteratura, poesia e filosofia, non abbia mai realmente smesso di animare discussioni e risvegliare coscienze dando avvio ad una ricchissima ed interminabile produzione filmica sul suo pensiero e lascito. Quello stesso pensiero che tutt’oggi ci condizione, sopravvivendo ai mutamenti della società e del modo di intendere l’arte, dunque la vita.
Basti pensare a Il silenzio è complicità (1976) di Laura Betti, attrice e compagna appassionata, seppur platonica di Pasolini, che realizza quel mediometraggio per fare del cinema d’impegno sociale il cui scopo principale è quello di denunciare la mancanza pressoché totale d’indagini rispetto alla morte dello stesso Pasolini, avvolta nell’ombra e mai realmente chiarita. Un mediometraggio nostalgico e fortemente desiderato tanto dalla stessa Betti che lo dirige, quanto da Bernardo Bertolucci ed Ettore Scola, che ne scrivono la sceneggiatura in compagnia di Enzo Siciliano e che avrà un sequel (seppur non ufficiale) nel 2001, intitolato Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno, diretto dalla stessa Betti in compagnia di Paolo Costella.
Giungendo poi al lungometraggio di Marco Tullio Giordana, Pasolini: Un delitto italiano (1995), che è in qualche modo la prima opera filmica sulla figura Pasolini a metà strada tra cinema documentaristico e di finzione, concentrato tanto sull’omicidio, quanto sul processo che ne seguì. Fino a Nerolio del 1996, realizzato da Aurelio Grimaldi che batte la strada della finzione pur ispirandosi piuttosto esplicitamente alla figura di Pasolini, nome in ogni caso mai realmente citato nel corso del film.
Qualche anno più tardi però, nel 2003, lo stesso Grimaldi dirige Un mondo d’amore, senza più restare distante dalle memorie di Pier Paolo Pasolini, raccontando in forma documentaristica (pur facendo della finzione narrativa qua e là) uno dei momenti probabilmente più infelici, scomodi e sconosciuti della vita di Pasolini, corrispondente all’accusa di aver intrattenuto, sotto pagamento, degli atti sessuali in luogo pubblico con alcuni ragazzini minorenni. Accusa in un primo momento rigettata e poi rivelatasi corrispondente al vero in seguito ad una confessione estremamente bizzarra e particolare dello stesso Pasolini che ne accetta le conseguenze, pur rivelando di aver commesso tali atti poiché spinto da esigenze artistiche e istintivamente sensuali, scaturite tanto dalla produzione letteraria del Premio Nobel André Gide, quanto da quella di Jean Paul Sartre.
Senza alcun dubbio una ricchissima produzione filmica quella sull’entità Pasoliniana, che torna tra il 2014 e il 2016 a dialogare con la società d’oggi, in due dei lungometraggi probabilmente più interessanti, accurati, controversi e storicamente approfonditi di sempre rispetto alla vita e produzione artistica di Pasolini, diretti rispettivamente da Abel Ferrara (Pasolini, che gode di una memorabile e al tempo stesso curiosamente bizzarra interpretazione di Willem Dafoe) e David Grieco (La macchinazione, il cui ricchissimo cast annovera la presenza di Paolo Bonacelli, uno dei numerosi interpreti di Salò o le 120 giornate di Sodoma, l’ultima controversa e folle opera cinematografica realizzata Pasolini).
Se tutti questi titoli hanno saputo cogliere in forma documentaristica momenti di vita e di pensiero di Pier Paolo Pasolini, pur dovendo prestare fedeltà a memorie storiche appartenenti a romanzi, inchieste giudiziarie, confessioni di amici, articoli di giornale e così via, si ha presto l’evidenza di una qualche forma di parzialità di racconto e messa in luce di un pensiero e umanità assolutamente concreti, unici, e profondi che accomuna ciascuno di questi titoli e che non è causata da una mancanza di materiale filmico, piuttosto da una distanza umana, perciò sincera, irrimediabile e necessaria, quella che rende cioè Pier Paolo Pasolini: Una visione unica di Giancarlo Scarchilli, l’opera documentaristica probabilmente più accurata, interessante, autentica e ispirata di sempre sulla figura e carica simbolica rappresentata da Pasolini.
Giancarlo Scarchilli racconta Sergio Citti – Omaggio ad un amico per tornare a Pasolini, il rabdomante dei talenti
“Quando mi trovai vicino a Pier Paolo per Accattone, il mio privilegio fu quello di assistere alla nascita del cinema. Quello che faceva non era riferirsi a modelli precedenti, ma era proprio quello di inventare il cinema“.
Così Bernardo Bertolucci con una lucidità candida ed estremamente chiara ed ispirata riflette sull’esperienza scaturita dalla lavorazione del capolavoro cinematografico inevitabilmente senza tempo che è Accattone, in compagnia di Pasolini. Un’esperienza che è per entrambi un esordio curioso, a gamba tesa, innocente e perciò animato da esigenze autoriali, umane e creative assolutamente appassionate che vogliono produrre cinema per dare vita ad una nuova forma d’arte che è ancora Neorealismo, pur essendo qualcosa di assolutamente differente e dialogante con il moderno, la novità, lo sperimentalismo e l’aderenza alla realtà più estrema, bassa, accurata, perciò di un lirismo senza precedenti, quello capace di dare voce, volto e corpo a quegli ultimi o più in generale abitanti di borgata che prima di allora mai erano stati mostrati e narrati dalla ricerca cinematografica degli autori italiani.
Giancarlo Scarchilli nell’approcciarsi alla ricchissima materia narrativa e simbolica dell’entità Pasoliniana non si rifà alla memoria storica, quella su carta che ha dato vita ai titoli discussi nel precedente paragrafo, piuttosto a quella dell’uomo, perciò parziale, spesso fumosa, ma incredibilmente sincera, appassionata, amichevole e umana che solo la diretta prossimità e conoscenza dello stesso Pasolini gli avrebbe potuto garantire.
Scarchilli infatti non soltanto deve il suo ingresso in quanto autore nel mondo del cinema a Pasolini, ma anche e soprattutto all’amico e mentore di un’intera vita, Sergio Citti, sodale autore cinematografico di Pier Paolo Pasolini che realizza tra gli altri, film quali Accattone (1961), Storie Scellerate (1973) e Casotto (1977) e che per primo scova nell’uomo Scarchilli una voce di indubbio interesse e che soltanto il cinema può in qualche modo tirare fuori, perciò lo porta con sé, insegnandogli e mostrandogli il significato più profondo del lavoro del regista, senza mancare di raccontargli che cosa comporti realmente interfacciarsi con la voce dell’uomo, poeta, regista e pensatore eclettico e assolutamente unico Pier Paolo Pasolini.
“Ancora oggi, se faccio una cosa, penso fra di me: e Pier Paolo che avrebbe detto? Che avrebbe fatto?“
Da questo pensiero di Sergio Citti, di una consapevolezza così profonda e autentica si evince immediatamente quanto l’uomo Pasolini sia tutt’oggi (e sarà sempre) per lo stesso Citti e Scarchilli, un vero e proprio rabdomante di talenti, capace di coinvolgere e legare tra loro figure quali Bernardo Bertolucci, Dante Ferretti, Ennio Morricone, Danilo Donati, Vincenzo Cerami, Orson Welles, Pupi Avati, Maria Callas, Ninetto Davoli e Anna Magnani, senza tuttavia assumere di sé una carica autoriale (e umana) elitaria, restando eternamente umile e aprendo le sue porte a tutti gli interessati, ispirati e conoscitori del suo pensiero e produzione artistica, senza mai escludere nessuno, appartenendo perciò al popolo e a quella borgata a cui fin dagli esordi non ha mai smesso di dar voce e luce. Carlo Verdone riassume così:
“A Pasolini interessava l’animo delle borgate, l’anima degli ultimi; e ce li ha descritti in maniera drammaticamente poetica.“
Ciò che differenzia dunque Pier Paolo Pasolini: Una visione unica di Giancarlo Scarchilli da qualsiasi altra produzione filmica sull’autore friulano è proprio la sua dimensione umana e sincera, che è fin da subito omaggio ad un amico, Sergio Citti e che diviene presto un inevitabile affacciarsi alla vita, al simbolismo, al pensiero e alle parole di Pasolini, quel rabdomante di talenti che ha in qualche modo introdotto e dato vita all’autore cinematografico Scarchilli, in compagnia dell’eterno amico Citti.
Un confessionale documentaristico estremamente memorabile e di grande ispirazione che è al tempo stesso memoriale e manuale di cinema tanto rispetto alla produzione Pasoliniana, quanto a quella di Citti, Bertolucci, Avati, Lucchetti e Verdone, nomi che intervengono più e più volte intervallandosi tra loro e dialogando con la propria memoria e poi con quella dello spettatore rispetto al nucleo profondo del docufilm di Giancarlo Scarchilli, rappresentato dalla domanda:
“Quanto ha realmente influenzato il cinema e pensiero d’oggi e di allora Pier Paolo Pasolini?“.
Domanda a cui Giancarlo De Cataldo, magistrato, scrittore e sceneggiatore cui dobbiamo l’esistenza di opere letterarie, cinematografiche e seriali ormai cult quali Romanzo Criminale e Suburra risponde così:
“Ogni volta che uno scrittore o un regista, da Romanzo Criminale a Favolacce, racconta quell’universo, dentro c’è un tributo a Pasolini”.
La nostra risposta invece non può e non potrà che essere: Totalmente. Inevitabilmente.
Pier Paolo Pasolini: Una visione unica, presentato al 40° Torino Film Festival, prodotto da MG Production e scritto e diretto da Giancarlo Scarchilli, è al cinema dal 5 al 7 marzo, distribuito da Medusa e realizzato in collaborazione con Rai Cinema e Luce Cinecittà.