Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio parlano di Delta insieme al regista: “Un western dove lo Stato non c’è” [VIDEO]
L'intervista ad Alessandro Borghi, Luigi Lo Cascio e Michele Vannucci per il film Delta, un western nell'Italia dimenticata dallo Stato.
A partire dal 23 marzo 2023, Adler Entertainment distribuirà nelle sale italiane Delta, il nuovo film diretto da Michele Vannucci ed interpretato da Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio. In occasione della presentazione dell’opera alla stampa, abbiamo intervistato i due attori protagonisti ed il regista del film, alla sua seconda esperienza dietro la macchina da presa dopo l’esordio con Il più grande sogno, risalente al 2016.
Durante la visione di Delta emergono diversi parallelismi con la trilogia tragica di Federico Garcia Lorca, composta dal genio spagnolo nella prima metà del secolo scorso, nel periodo antecedente la guerra civile spagnola. Un’epoca drammatica, che di lì a poco avrebbe visto l’Europa diventare teatro del secondo conflitto bellico mondiale. In quell’occasione, Lorca dichiarò: “Ci sarà tempo per la farsa, adesso è il momento di tornare al reale“. Un modo per sottolineare l’esigenza di tornare a “sporcarsi” con la realtà contemporanea, col dramma con cui il popolo spagnolo, e il genere umano in generale, si ritrovava a fare i conti.
La nostra intervista video a Michele Vannucci, Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio, regista e attori di Delta, il film al cinema dal 23 marzo 2023
Una tragedia che, in fondo, risulta percepibile ancora oggi, soprattutto nei contesti più provinciali, gli stessi su cui Michele Vannucci fa luce attraverso i suoi film, compreso Delta. E, dunque, quanto sentono attuali tali considerazioni di Lorca, un secolo dopo, e quanto le sentono vicine alla loro idea di cinema, i due attori protagonisti del film e lo stesso regista romano? A questa domanda, Luigi Lo Cascio risponde così: “Sì, in Delta c’è della tragedia. Al di là del fatto che quando c’è qualcosa di luttuoso e di molto doloroso, viene identificato, giustamente, come tragedia. Penso che il tratto tragico della questione sia proprio sul senso del limite, cioè l’uscire fuori, gli atti di esagerazione, l’uscire fuori dagli argini, la dismisura che c’è nella tragedia, qualcosa che si abbatte su di te e a cui tu reagisci con i pochi strumenti che hai, quando ormai il linguaggio non serve più, quando ormai non si può passare per una pacificazione civile. A quel punto c’è l’accecamento e quindi il non vedere più le conseguenze delle proprie azioni. A quel punto, ormai, si è in un terreno totalmente inesplorato: non c’è bussola, non hai mappe, ma solo quello che capita e quello che succede. Ed è bello che i due personaggi si incontrino, in maniera diversa, dove c’è una condizione di cattività, di reclusione. C’è uno che è carnefice dell’altro, ma poi le situazioni si invertono più volte. C’è un momento in cui uno ha la supremazia sull’altro ma ogni volta questa cosa cambia e, a seconda della posizione in cui ci si trova, cioè colui che è succube e colui che è il dominatore, si riscontra proprio come il potere incida sulla carne dell’avversario, e come questa cosa sia completamente fuori controllo“.
Aggiunge il suo pensiero anche l’altro co-protagonista di Delta, ossia Alessandro Borghi, il quale ci ha detto: “Io credo che il cinema abbia come missione quella di raccontare delle storie. Se queste storie riescono ad essere delle storie alle quali saremmo arrivati nel corso della nostra vita, ancora meglio. Voglio dire, sono stati fatti dei film meravigliosi all’interno di un salone con quattro attori straordinari che parlano, e probabilmente qualcuno di noi avrà avuto pure la possibilità di fare quell’esperienza nella propria vita. Ma io credo che, se non avessi incontrato Michele Vannucci, non sarei mai andato a passare una settimana con i bracconieri sul Delta del Po e a raccontare la storia di un uomo sfuggito al suo passato, costretto a tornare e poi ad essere schiavo di tutti gli eventi della sua vita. Quindi credo che ci sia una missione che fa parte dell’intrattenimento ma anche di un racconto preciso delle storie ed è la sfida di raccontare le storie giuste e delle storie che nessuno ci avrebbe raccontato se non al cinema“.
Michele Vannucci: “Viviamo in un Paese faticoso“
Michele Vannucci, il regista di Delta, ha approfittato della domanda per riepilogare lo spirito con il quale è nato il suo secondo film: “Delta è nato quasi all’opposto. Nel senso che, dopo il mio primo film, che aveva un approccio molto più di cinema del reale, dove c’era addirittura un attore che interpretava se stesso dentro un copione scritto, di finzione, qua c’è stato un processo opposto: sono stato sul fiume, attratto da questi paesaggi meravigliosi, in cui mi sono perso io, e stando dentro quei paesaggi, ho iniziato a fantasticare di un’idea di film nuovo, unico, qualcosa che potesse veramente essere sorprendente per un pubblico. E mi sono accorto di quanta meraviglia provassi io verso quel fiume, e di come quel fiume potesse essere un racconto western, un racconto contemporaneo in cui al posto dei cavalli ci stavano i pesci siluro, però comunque si parlava sempre di due comunità che si scontravano“. Michele Vannucci ha quindi continuato: “A quel punto, è iniziata la voglia di creare qualcosa di più ambizioso e grazie a Rai Cinema, Groenlandia e Kino produzioni c’è stata la voglia di creare un film d’avventura. È vero che, poi, quello che sta sotto Delta è una mia domanda, tragica e drammatica, che è ‘fino a che punto possiamo sopportare la violenza prima di reagire?’ e ‘cosa lascia in noi questa reazione?’. Ma c’è anche la paura che ho del perdersi, nel fisico, dentro uno spazio e nell’animo, come succede ai due personaggi. Però credo che Delta sia un grande film di evasione, cioè porta lo spettatore in un viaggio in un posto che non è stato raccontato da tanti anni dal cinema italiano e c’è un appropriarsi di qualcosa di nuovo“.
Il regista di Delta ha quindi allargato la sua considerazione all’Italia intera, sottolineando anche il valore catartico del film: “Viviamo in un Paese a volte molto faticoso. Ma anche molto pericoloso, perché ci sono tantissime armi che girano in Italia, anche se esistono pochi dati del Viminale rispetto a questa cosa. E poi c’è questa idea di Far West, di frontiera, che in alcune provincie è esplosiva. Eppure credo che quello che serve sia cercare di stare dentro questo racconto del reale e del contemporaneo, ma anche ritrovare la magia del cinema. Perché stare in una sala con 300 persone al buio e poter condividere le emozioni, anche quelle più oscure, ci permettano anche di andare oltre quella realtà che abbiamo intorno“.
Nel corso dell’intervista, abbiamo quindi sottolineato quanto Delta lasci emergere la totale sfiducia delle persone, soprattutto dei più giovani, nei confronti delle regole, nonché l’incapacità di dialogare ed empatizzare con chi viene percepito “diverso” e distante da sé. “Infatti, si tratta soprattutto di mancanza di conoscenza“, ha dichiarato Luigi Lo Cascio, continuando: “Nel caso specifico del bracconaggio del fiume c’è una motivazione. All’inizio, addirittura, il fatto di praticare questa pesca così estremamente distruttiva nei confronti dell’ambiente non era neanche considerato un reato penale. Era soltanto qualcosa nell’ordine dell’amministrativo, delle multe da dare. E quindi i carabinieri, le forze dell’ordine, non stavano lì ad inseguire qualcuno per fare delle multe. Erano le guardie ittiche che potevano sanzionare ma, appunto, con delle multe, con qualcosa di ordine economico. Allora il cittadino si sente abbandonato dallo Stato, allora pensa di essere lui costretto a fare le ronde, a vigilare sul fiume, ecc. Quindi c’è una premessa che è la mancanza di relazione, e questo è, diciamo, il lato ‘comprensibile’ della questione. Ma, subito dopo, nel disordine che si crea, nell’incapacità di gestire la relazione tra gli uomini, ecco che subito parte il pregiudizio, la xenofobia, l’immediatezza con cui, nell’odio per il nemico, il nemico va soppresso, e quindi la possibilità di conoscere l’altro viene immediatamente negata. Per questo motivo, questo film, a parte la lotta, permette anche di entrare nella casa dei due contendenti. Soprattutto nella casa di Elia, cioè del diverso, del lontano, dello straniero, del nemico, della persona da odiare, da espellere. Entrando in quella casa, vediamo quanta vita, quanta umanità e quanto desiderio di stare al mondo, in maniera affettuosa, in maniera allegra… e scopriamo quindi che l’altro ci fa da specchio soprattutto in questa cosa, non soltanto nel momento della violenza ma soprattutto in questa capacità di stare al mondo“.
Ha aggiunto Alessandro Borghi, che in Delta interpreta il personaggio di Elia: “Credo che la parola chiave sia proprio ‘empatia’. Questo è assolutamente un film sull’empatia, su quanto siamo in grado, quando riusciamo, di metterci nei panni degli altri. E su quale sia il limite, quello di cui parlava prima Gigi (Luigi Lo Cascio, ndr): chi stabilisce il limite per la sopravvivenza? Cosa siamo disposti a fare per sopravvivere e cosa siamo disposti a sostenere, da un punto di vista anche sociale quando abbiamo a che fare con qualcuno che per sopravvivere oltrepassa quella linea? Quanto siamo disposti ad entrare nella testa degli altri? Delta è anche un film su questo“.
Per concludere, anche Michele Vannucci ha risposto a questa domanda, dichiarando: “Delta è un film che è nato sul genere western, il genere della frontiera, uno spazio in cui le istituzioni sono lontane. Ed è nato così perché quei territori sono territori sconfinati, dove per un’ora puoi stare in macchina e non vedi segni di antropizzazione, perché sei perso nella natura. Quindi in quei territori là la percezione che hai dello Stato è come di qualcosa di molto lontano. Ma diciamo che in Italia quel fiume ha delle dinamiche molto simili ad altri posti, soprattutto in provincia. Credo poi che, per come è scritto, anche proprio a livello di scelte alla base della narrazione, sia un film con due protagonisti, in cui lo spettatore è sempre chiamato ad immedesimarsi in un fronte e nell’altro, quindi ad entrare in empatia prima con Borghi e poi con Lo Cascio, e stare quasi in una posizione scomoda, in cui deve colmare qualcosa che non ha visto, perché è andato avanti il racconto. E questo porta ad un esercizio fondamentale di cui credo che abbiamo bisogno tutti, che è proprio quello dell’empatia, cioè di guardare l’altro e cercare di capire cosa ha nella testa, prima di parlarci. Che è qualcosa che, purtroppo, negli ultimi anni stiamo un po’ perdendo, drogati anche da tutto ciò che è social media, in cui non abbiamo la possibilità di entrare nella testa dell’altro. Quindi il tentativo che ho fatto con Delta è stato questo, di entrare nella testa dell’altro“.