Stranizza d’amuri: recensione del film di Giuseppe Fiorello
Giuseppe Fiorello debutta alla regia con Stranizza d'amuri, al cinema dal 23 marzo 2023 con BIM Distribuzione.
Stranizza d’amuri è il film con cui Giuseppe Fiorello debutta alla regia cinematografica. In questa recensione vediamo quali sono gli aspetti che rendono quest’opera meritevole di essere vista. Distribuito in sala da BiM Distribuzione, il film vede nel cast Gabriele Pizzurro, Samuele Segreto, Fabrizia Sacchi, Simona Malato, Antonio De Matteo, Enrico Roccaforte, Roberto Salemi, Giuseppe Spata, Anita Pomario, Giuseppe Lo Piccolo, Alessio Simonetti, Raffaele Cordiano, Giuditta Vasile e Manuel Bono.
Stranizza d’amuri, la recensione del primo film da regista di Giuseppe Fiorello
Stranizza d’amuri è un film tratto dalla storia vera di due ragazzi uccisi in Sicilia più di quarant’anni fa, per l’unica colpa di essersi amati. Il principale plauso da rivolgere a Giuseppe Fiorello è dunque quello di aver ripescato questa vicenda ormai dimenticata, poco nota anche a coloro che in Sicilia ci sono nati e cresciuti, come lo stesso regista italiano. Inoltre, il fatto che uno dei due protagonisti del film, ossia Samuele Segreto, sia già molto amato e seguito dai giovanissimi, fa sì che questa storia possa essere conosciuta anche dalle nuove generazioni, fungendo da monito affinché cose del genere non si ripetano più. L’evento a cui l’opera fa riferimento è quello del delitto di Giarre, risalente al 1980, che ha visto morire due innocenti e che ha portato alla nascita del primo circolo Arcigay. In quella tragedia persero la vita Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola, soprannominati “i ziti”, cioè “i fidanzati”.
Stranizza d’amuri parla principalmente d’amore e di omertà, ma soprattutto di famiglia. Mette a confronto due realtà famigliari apparentemente diverse ma fondamentalmente simili. Questo aspetto emerge soprattutto nella seconda metà del film, quando cioè si incontrano, seppure solo al telefono, le mamme dei due protagonisti. Lina, la mamma di Gianni, interpretata da Simona Malato, è una donna che già sulla propria pelle ha sentito il peso della vergogna e del pregiudizio della gente. Vedere il figlio subire il medesimo destino, ed ingiurie ancora più “gravi”, è qualcosa che la scava nel profondo, giorno dopo giorno. La vediamo bloccata nel suo immobilismo all’interno di quattro mura silenziose e su una terrazza che diventa un palco verso il quale la comunità punta il dito e lo sguardo. Carmela, la mamma di Nino, interpretata da Fabrizia Sacchi, vive invece in un contesto più caloroso e “rumoroso” ma, alla fine, a fare più rumore è il silenzio del dialogo assente tra i vari membri della famiglia. Messa di fronte alla realtà dei fatti, la donna si dimostra molto simile a Lina. E se a quest’ultima appartiene uno dei monologhi più intensi e strazianti del film, è Carmela a racchiudere in un’unica frase la mentalità che inchioda alla croce i due ragazzi: “Queste sono stranezze che non devono capitare“. In generale, ogni singolo attore, che ricopra un ruolo primario o secondario poco importa, contribuisce ad impreziosire il film, portando sul grande schermo personaggi in grado di rendere bene l’idea della mentalità e lo spirito con cui Giorgio e Antonio dovettero fare i conti all’epoca del delitto.
Lo sguardo profondo e malinconico di Totò, il bambino interpretato da Raffaele Cordiano, sono gli stessi del pubblico che assiste alle fasi salienti del rapporto tra i due protagonisti, dai primi sguardi complici alla nascita del loro sentimento reciproco, saturi della triste consapevolezza di ciò che accadrà poco dopo. Giuseppe Fiorello sceglie di non girare scene di sesso ma di mostrare solo un bacio tra i due ragazzi, lasciando spazio soprattutto ai sentimenti. In ogni caso, non mancano quei piccoli contatti fisici, prima un po’ casuali e poi assolutamente voluti, tra gli angoli nascosti del paese e poi nelle acque cristalline del mare, al di sotto delle quali “niente è peccato”, quelle carezze date di nascosto, quei sorrisi e quegli sguardi che, grazie alla notevole interpretazione di Gabriele Pizzurro e Samuele Segreto, lasciano ben intendere l’universalità dell’innamoramento e del desiderio.
Le canzoni all’interno del film
Le scelte musicali, curate da Giovanni Caccamo e Leonardo Milani accompagnano perfettamente la narrazione e gli stati d’animo che dominano le varie sequenze dell’opera. Dammi solo un minuto dei Pooh fa da sottofondo ad una delle scene più violente del film, di fronte alla quale risulta davvero difficile trattenere la commozione, unico mezzo per fare fuoriuscire la rabbia che inevitabilmente si prova nel vedere qualcosa che, purtroppo, avviene ancora oggi in molti luoghi del mondo. E poi c’è Franco Battiato. Il suo “zampino” lo ritroviamo già nel titolo: Stranizza d’amuri non è uno dei suoi brani più celebri ma è, senza dubbio, uno dei più emozionanti del suo repertorio artistico. Una vera e propria perla dalle mille sfaccettature, il cui senso ben si presta alla storia raccontata nel film. Se nella canzone si parla di un amore che vive (e sopravvive) nonostante la guerra, nell’opera cinematografica le cose stanno più o meno nello stesso modo, considerato tutto ciò con cui i due protagonisti si ritrovano a fare i conti per vivere il loro sentimento. E poi nel film c’è tutto lo spirito di Franco Battiato: quell’anima che è sempre stata in grado di trascendere la dimensione terrena, piena di libertà e libera dal pregiudizio.
Sempre rimanendo in ambito musicale, Stranizza d’amuri è diventata anche una splendida cover firmata da Carmen Consoli. La stessa cantantessa, in un’altra canzone intitolata Ottobre (che, casualmente, è anche il mese in cui avvenne il delitto di Giarre), ha raccontato l’innamoramento di due ragazze in un contesto che sembra davvero lo stesso raccontato nel film di Giuseppe Fiorello. “Trafelate ci alzavamo e con disinvoltura rientravamo in scena con le gote rosse ed una buona scusa“, è uno dei versi della canzone ed è praticamente ciò che avviene tra i due protagonisti dell’opera cinematografica. Ma lo spirito centrale del film lo ritroviamo perfettamente nella frase ripetuta più volte nel corso del brano, ossia: “Piuttosto che il limbo, avrei scelto l’inferno, fosse stato il prezzo della libertà“. Nino e Gianni hanno scelto di vivere a testa alta il proprio amore, consapevoli del prezzo che avrebbero pagato per la loro libertà.
Stranizza d’amuri: conclusione e valutazione
In definitiva, con una regia mai invasiva ed una sceneggiatura delicata e attenta ad ogni dettaglio, che alterna carezze e schiaffi, Beppe Fiorello porta in sala una vera e propria poesia cinematografica, che permette di trascorrere due ore in Sicilia, terra di fuoco e di mare, che viene presentata sul grande schermo anche attraverso un’incantevole fotografia, in un tempo “altro” che però, in fondo, non è poi così lontano dal nostro presente. Un viaggio da intraprendere con coraggio, in cui ci si immerge con testa e cuore, facendo i conti anche con le emozioni più crude per poi riemergere con la rinnovata consapevolezza di non dover mai voltare lo sguardo di fronte alle ingiustizie. Stranizza d’amuri è un meraviglioso inno alla libertà e una mano tesa a tutti i Giorgio e gli Antonio che ancora oggi devono armarsi di estremo coraggio per amarsi ed essere semplicemente se stessi.