Emanuele Scaringi parla di Pantafa: tra cinema horror e differenze tra Italia e USA [VIDEO]
Necessario introdurre Pantafa così: tra il 1960 e il 1990, l’horror in Italia lo abbiamo fatto, studiandolo ed innovandolo, per poi esportarlo, ispirando centinaia di cineasti in giro per il mondo, fieramente consapevoli di aver prodotto qualcosa di assolutamente derivante dal cinema di autori quali Margheriti, Deodato, Ferroni, Fulci, Argento, Bava, Avati e così via, e riuscendo inevitabilmente a sbancare al botteghino, mentre in Italia l’horror si riduceva sempre più, finendo per sparire quasi totalmente, eccezion fatta per alcune voci indipendenti e nient’affatto legate alla distribuzione commerciale da sala e poi da programmazione televisiva.
Un genere che dunque è sempre appartenuto al nostro paese, ma che nonostante questo ha subito un impoverimento tematico e graduale, fino a divenire un modello cinematografico dal quale guardarsi più che bene, preferendogli la commedia, il dramma, il cinepanettone e la parodia, tutti generi di cassetta e dalla ampia accessibilità di pubblico e accoglienza al botteghino. Tutto cambia attorno al 2010, quando un manipolo di giovani cineasti italiani si rimette alla ricerca di alcune tradizioni cinematografiche horror nostrane, come quella del folk.
Pantafa, secondo lungometraggio da regista di Emanuele Scaringi dopo, La profezione dell’armadillo, si inserisce a pieno titolo in questa nuovissima volontà di ritorno al passato e ancor più di sguardo e approfondimento di quel vastissimo e sconfinato calderone di leggende e tradizioni popolari nostrane dall’indubbio potenziale narrativo e quasi mai del tutto sfruttato.