Transatlantic: recensione della serie Netflix 

Transatlantic assimila gli stilemi della commedia sofisticata americana e li combina a un’estetica raffinata e conservatrice, da period drama à la James Ivory, per restituirci una storia vera di eroismo antinazista. Ma il racconto, per quanto ben lucidato, appassisce in fretta.

Transatlantic, la miniserie a coproduzione internazionale – tra quattro Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania – in sette episodi da poco entrata nel catalogo Netflix, invita al gioco delle somiglianze. A guardarla, ci si chiede a cosa faccia pensare, che cosa ricordi. L’estetica è quella del period drama elegante, di derivazione letteraria: c’è qualcosa del cinema di James Ivory e della sua sofisticata ricerca formale, nella direzione della rarefazione delle atmosfere e dello scavo psicologico impalpabile, attuato anche per mezzo della levigatura delle immagini e della scolpitura in bassorilievo, a mano leggera, degli ambienti. 

C’è qualcosa anche di quella che Enrico Giacovelli definisce commedia del desiderio, la commedia sofisticata americana degli anni Trenta e Quaranta, meno languida di un mélo, meno sentimentale di una rom-com e meno divertente – qualcuno direbbe, con un termine stucchevole, meno spassosa – di una commedia pura, e anzi tutta librata su dialoghi ritmati e arguti, sottili accenni satirici, accostamenti di stramberie varie, lievemente su di giri, tra personaggi e situazioni di confine tra ‘normalità’ e stravaganza. C’è anche qualcosa dei resoconti romanzeschi dalla Francia occupata di Irène Némirovsky e la memoria, più simile per vicenda raccontata che per immaginario estetico, della Schindler’s List spielberghiana: Transatlantic, adattato dalla stessa creatrice di Unorthodox, Anna Winger, a partire del romanzo Flight Portfolio della scrittrice americana Julie Orringer, ricostruisce, infatti, la vera storia di un ‘giusto’, il giornalista newyorchese Varian Mackey Fry, ben interpretato da Cory Michael Smith.

Transatlantic: protagonisti un giornalista e una ereditaria americani, eroi della resistenza antinazista a Marsiglia

Transatlantic recensione cinematographe.it

Fry, inviato in Germania negli anni della presa del potere da parte dei Nazisti, rimase scioccato dagli abusi a cui venivano sottoposti gli Ebrei nel Paese. Nel 1940, dopo la creazione del regime di Vichy nella parte della Francia, quella meridionale, libera dai nazisti, Fry mise in piedi a Marsiglia, centro della resistenza antifascista, un’organizzazione che si occupava di accogliere gli Ebrei perseguitati per poi trasbordarli in Spagna e in Portogallo, via Pirenei. Si offrì di aiutarlo, mettendo a disposizione i suoi (molti) soldi e il suo aereo privato, anche una ricca e affascinante ereditiera di Chicago, di nome Mary Jayne Gold

Una foto di Mary Jayne Gold, la ricca americana che, insieme al giornalista Varian Fry, salvò più di duemila ebrei dalla persecuzione nazista.

Figlia di una famiglia molto benestante di wasp, americani discendenti dei primi coloni anglosassoni di fede protestante, Mary Jayne Gold terminò i suoi studi in Italia e, giovanissima, prese a viaggiare in Europa, frequentando soprattutto i salotti londinesi e parigini. A contatto con la cultura europea, meno puritana di quella statunitense, Mary Jayne si sperimentò per la prima volta libera ed emancipata dai condizionamenti dell’ambiente di provenienza. Così, quando s’imbatté nel progetto umanitario di Fry, noto con il nome di Emergency Rescue Committee (ERC), non ebbe dubbi su come avrebbe restituito all’Europa e ai suoi intellettuali – dei 2000 ebrei messi in salvo, almeno 200 erano scrittori o artisti e, tra questi, Hannah Arendt, Marc Chagall, Walter Benjamin, Max Ernst, André Breton – quanto dal loro pensiero e dalla loro cultura aveva ricevuto. 

Transatlantic: valutazione e conclusione

L’attore viennese Lucas Englander e l’attrice statunitense Gillian Jacobs interpretano Albert Otto Hirschman e Mary Jayne Gold.

La serie Netflix, come già il romanzo da cui è tratta, trasfigura la cronaca storica attraverso inserti di finzione o per mezzo di un’operazione di finzionalizzazione del vero storico. È testimoniato, ad esempio, che Mary Jayne Gold, splendidamente interpretata da Gillian Jacobs, si trovò a collaborare fianco a fianco con Albert Otto Hirschman, un berlinese figlio della buona borghesia ebraica, poi affermatosi come economista, ed è altrettanto documentato che lasciarono insieme Marsiglia, ma la nascita e l’evoluzione dell’amore tra loro non risultano attestati da nessuna fonte. Eppure, nella transcodificazione audiovisiva del libro, il plot sentimentale si pone come trainante rispetto all’economia drammaturgica. Il romanzesco impastato allo storico serve la causa della trasmissione della memoria di un episodio della Storia recente – ormai non più così tanto recente, e dunque purtroppo obliterabile – sconosciuto ai più. Tuttavia, nonostante l’intento meritorio, per raggiungere maggiore compiutezza artistica e affrancarsi dal solo impegno testimoniale, Translatlantic avrebbe dovuto sfoderare non tanto una confezione accattivante, appunto da period drama con velleità estetizzanti, quanto una maggiore abilità di caratterizzazione dei personaggi e di ‘taglio’, in senso jazzistico, mobile, dei dialoghi. 

La scrittura, granulosa e rigida, non è infatti mai in grado di cogliere il vero poetico – il nodo speciale tra universale e contingente in cui si rivela la più piena singolarità umana, la sua natura per così dire non riconducibile a modulo, a incastro formulare, prefabbricato – dei personaggi e, per questo, condanna alla stagnazione il racconto filmico già dopo i primi episodi. I bozzetti corali sono spesso statici e leziosi, mentre i personaggi principali che dovrebbero muovere la vicenda, poiché non scritti in maniera sufficientemente raffinata, perdono presto il loro fascino. Tale perdita – di allure sostanziale, al di là dell’allure di superficie – non è compensata dalla sapienza nella ricostruzione d’epoca, ricostruzione che, anzi, a tratti sembra persino posticcia, quasi fosse una casa di bambola in cui facciamo muovere i nostri pupazzi, senza che questi ultimi riescano mai a stabilire una relazione autentica – e viva – con l’ambiente. E, talvolta, neanche tra loro. 

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8

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