Pierluigi Ferrandini: la regia asfissiante di Percoco e il volto del primo mostro d’Italia: “avevo bisogno di un atleta”
Pierluigi Ferrandini parla di Percoco - Il primo mostro d'Italia, dalla regia alla scelta del protagonista.
Barese classe ’75, Pierluigi Ferrandini arriva al cinema con Percoco – Il primo mostro d’Italia, in sala con Altre Storie come evento speciale il 17, 18 e 19 aprile 2023 dopo essere stato presentato al Bif&st 2023. In questa occasione abbiamo visionato il lungometraggio tratto da una terribile storia vera e abbiamo avuto modo di addentrarci tra i meandri della pellicola, provvista di una regia che da sola talvolta basta a trasmetterci il malessere che attanaglia il protagonista, interpretato da Gianluca Vicari, il quale ci ha spiegato bene il lavoro fatto sul set, quello cioè di dividere il suo volto in due parti: una dualità che Ferrandini cerca di riflettere anche nelle scelte registiche rimarcando la differenza tra “il mondo della casa e il mondo fuori dalla casa”.
“La casa è un po’ come se fosse il cancro, il luogo in cui si sviluppa l’orrore.” – ci dice Pierluigi Ferrandini accomodandosi accanto al protagonista del suo film – “In fase di regia ho cercato di attuare inquadrature fisse e asfissianti, geometrie dall’altro per schiacciare il personaggio e ho cercato di mantenere sempre una fissità che era quella dei cadaveri. Di contro, nel viaggio di Percoco all’interno nelle cosiddette gioie dei paradisi artificiali, la camera si muove sempre, ma non si muove seguendo la scia che lui produce, piuttosto è Franco ad abbandonarsi, a lasciarsi trascinare da quella che è la bella vita, perché Franco in fondo è uno che vorrebbe fare la bella vita, che ha un significato ben preciso, felliniano; perché la bella vita la fanno gli uomini di potere, che non sono necessariamente i più ricchi.”
“Franco avrebbe voluto essere un uomo di potere” – spiega Ferrandini – “e questo lo capiamo anche dai piccoli dettagli di cronaca: nonostante avesse problemi all’università per via di alcuni deficit dell’attenzione o una leggera nota di autismo che non gli permetteva di sopportare la pressione universitaria dell’epoca, Franco era rappresentante degli studenti. Quindi, se fosse stata la storia di un ragazzo scansafatiche non avrei trovato nessun interesse in questa vicenda, invece la mostruosità nasce quasi come atto di ribellione ingenua, pura, proprio perché la via dove il destino lo aveva portato non era dovuta a colpe oggettive di Franco: lui ce l’aveva messa tutta e quando ce la metti tutta, quando spieghi persino ai tuoi amici come passare un esame e tu invece non riesci e ti senti dire da tua madre che non ce la fai perché frequenti le donne… Franco Percoco era un frequentatore di bordelli ma al termine di un’intera giornata passata sui libri e questo per lui non creava conflitto poiché la sua coscienza era quella dell’uomo medio fascista e quindi al tempo avere l’amante rientrava nelle caratteristiche dell’uomo di potere, di chi riesce ad avere sia una moglie devota che tira su i figli che una super amante, che quindi non tratti come una baldracca.
Lui avrebbe voluto rivestire l’etichetta dell’uomo borghese senza trasgressioni. Percoco non è un ribelle ed è per questo che uccide i genitori o, meglio, è per questo che l’uccisione dei genitori diventa così empatizzante o comunque colpisce lo spettatore”.
Come dice giustamente il regista, quella di Percoco “è una storia di conflitti che lui da una parte tenta di nascondere, ma dall’altra è come se volesse farsi scoprire continuamente”.
Per incarnare un personaggio così sfaccettato serviva un interprete in grado di calarsi in quell’abisso e Pierluigi Ferrandini sembra averlo trovato nel già citato Gianluca Vicari. Ci racconta di averlo scelto dopo aver fatto diversi provini; “ho capito che saremmo stati in grado di portare sul grande schermo questa dicotomia, perché Percoco non è un mostro ma convive con un mostro e ci voleva qualcuno che riuscisse a rendere fisico questo tratto psicologico in maniera anti-didascalica, per cui abbiamo lavorato anche molto sul sentimento del contrario. Sapevo che Gianluca sarebbe stato in grado di reggere questo sforzo atletico e psicologico, soprattutto dal punto di vista della costanza”.
Ferrandini ha rimarcato la presenza dell’attore sul set per tutte e sei le settimane delle riprese, valorizzando la sua professionalità e l’impegno. “Ci sono tanti non attori non abituati al mestiere dell’attore, che è faticosissimo per via dell’interazione col proprio corpo e con la propria psiche. Non si può improvvisare, ci vuole training e cultura: l’attore deve necessariamente imparare delle cose propio perché quello del cinema è un mestiere in cui ti ritrovi prima a fare la scena numero 80 e poi la 2, prima ammazzi e poi guarisci, quindi è davvero schizofrenico l’approccio dell’attore cinematografico.
Nei miei anni di lavoro ho conosciuto tanti non attori che magari avrebbero potuto darmi qualcosa ma sarebbero stati incapaci di replicarlo il giorno dopo e io avevo bisogno di una persona che lo riproducesse per sei settimane di seguito. Avevo quindi bisogno di un atleta, di qualcuno che fosse stato educato a questo tipo di stress ed io per primo credo che non avrei mai potuto approcciarmi in questo lavoro a vent’anni. I miei vent’anni di esperienza mi sono serviti tutti a reggere il peso psicofisico di questo film.”
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