Il sol dell’avvenire: recensione del film di Nanni Moretti
Nostalgico, poetico, divertente e sincero: la nuova fatica di Nanni Moretti celebra il passato, il cinema e i suoi film
Nanni Moretti allo stato puro, Il sol dell’avvenire si rivela il ritorno del regista alla sua essenza, al suo cinema reale, dopo la parentesi “anomala” di Tre piani del 2021. Il suo nuovo film, dal 20 aprile in sala prodotto da Sacher Film, Fandango, Rai Cinema e Pacte, e distribuito da 01 Distribution, vede protagonisti lo stesso Moretti, Margherita Buy, Valentina Romani, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Flavio Furno, con le partecipazioni di Mathieu Amalric, Teco Celio, Francesco Brandi e Elena Lietti. La colonna sonora è di Franco Piersanti (Il commissario Montalbano, Siccità). Il film sarà in concorso alla 76esima edizione del Festival di Cannes che si svolgerà dal 16 al 27 maggio.
Nanni Moretti interpreta Giovanni, un regista sposato con la sua produttrice storica Paola (Buy) che si appresta a girare il suo nuovo film ambientato nel 1956 che racconta le vicende di un circo ungherese che arriva in Italia, in una comunità di periferia proprio quando l’Unione Sovietica invade l’Ungheria. Ennio (Orlando) un giornalista de L’Unità e Vera (Bobulova) una militante del PCI li accolgono a braccia aperte ma devono fare i conti con le decisioni del partito. Tra set e realtà Giovanni si confronta con un presente che non gli piace e con i suoi sogni, come quello di girare un film d’amore con le canzoni italiane più belle, e con il rapporto con la moglie che sembra essere cambiato per sempre.
Un racconto metacinematografico e nostalgico
“Non va bene, è tutto diverso”, potrebbe essere l’headline del nuovo film di Moretti, ma è una delle battute che pronuncia in uno dei tanti momenti di sconforto il suo personaggio. Il regista, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Francesca Marciano, Federica Pontremoli e Valia Santella, attinge a piene mani agli elementi cardine del suo cinema, alla sua ironia e autoironia, ai momenti surreali, ai monologhi “deliranti”, alle battute clamorose, alle canzoni cantate a squarciagola, per raccontarci la sua visione della società e del cinema di oggi. L’universo morettiano, diventato da anni uno stile, citato dai cinefili, entrato nel linguaggio comune, è così riassunto in Il sol dell’avvenire.
Un film metacinematografico e nostalgico che alterna la storia del film girato da Giovanni, quella dell’invasione dell’Unione Sovietica in Ungheria vista attraverso gli occhi di Ennio e Vera, a quella personale del regista che vede cambiare anche sua moglie, “Sei diventata come gli altri”, le dice affranto, così come è cambiato tutto intorno a lui. Non è difficile vedere in questa critica il pensiero di Nanni Moretti, che di certo non si è mai nascosto e che in ogni suo film ha raccontato una parte di sé, la sua visione del mondo. Qui sopraffatto dalla malinconia, che riesce a smorzare con il suo proverbiale acuto sarcasmo, si mostra esterrefatto di fronte a una scena violenta girata da un suo giovane collega che gli appare svuotata di significato, di quel senso e di quello studio profondi con i quali i grandi maestri hanno reso arte anche le storie più brutali, o di fronte alla superficialità delle piattaforme streaming con i loro film standardizzati e schiavi dell’algoritmo. E raccontando questo riesce anche a parlare di amore, di sentimenti che si evolvono con il suo linguaggio peculiare, eccentrico, poetico riuscendo ad essere universale come solo Moretti sa fare.
Il sol dell’avvenire – Verso un radioso futuro guardando al passato
Nanni Moretti guarda al passato e cita Lola di Jacques Demy, John Cassavetes, San Michele aveva un gallo dei Fratelli Taviani solo per fare qualche nome, e celebra il suo cinema attraverso dei riferimenti che faranno impazzire i morettiani, come la coperta variopinta di Sogni d’oro o il monopattino a bordo del quale gira per il quartiere Prati, attualizzazione della vespa “cult” di Caro diario e Aprile, rendendo poetica anche la preparazione di una scena sul set, e accompagnando i momenti più intimisti e riflessivi con canzoni come Sono solo parole di Noemi, Lontano Lontano di Luigi Tenco, Voglio vederti danzare di Franco Battiato, altra costante dei suoi film. Liberando la fantasia e l’estro morettiano il regista regala momenti squisitamente comici e surreali, come la sua invettiva contro i sabot, gli sguardi agghiacciati verso ciò che non comprende, il dialogo con due responsabili di Netflix, i balletti liberatori e l’importanza della crema per il viso, “come fai senza crema per il viso?”, chiede alla figlia. È tutto l’entusiasmo di Nanni Moretti per il cinema nel quale, nonostante i cambiamenti che si ostina a non accettare, “Nella vita due principi bisogna pur averli”, dice Giovanni, riesce ancora a ritrovare sé stesso, mostrando nel commovente finale l’autenticità del suo percorso di autore e regista, verso un radioso futuro.