FEFF 2023 – Phantom: recensione del film coreano
1933, Seoul. Cinque sospettati di spionaggio sono rinchiusi in un hotel su una scogliera. Di chi fidarsi? Per salvarsi, gli indiziati sono disposti a tutto... e il gioco al massacro ha inizio.
Prima regola per poter guardare Phantom: non credere a nulla di ciò che succede in Phantom. O, meglio, accettare che il nuovo film di Lee Hae-young – presentato in anteprima al 25° Far East Film Festival di Udine, e a breve nelle sale italiane grazie alla distribuzione di Lucky Red – sia una rappresentazione ideale di una realtà alternativa e oggettivamente impossibile. Una specie di utopia, di orgogliosa visione alternativa di come la Storia è realmente andata.
Ambientato nel 1933, il film prende le mosse dal complesso processo di colonizzazione giapponese della Corea. C’è l’occupazione, ci sono gli intrighi, c’è la resistenza; ed emerge la misteriosa figura di un fantomatico Fantasma, un infiltrato che sta sabotando il lavoro dei nipponici attentando di continuo alla vita dei loro governatori. Un essere umano pericoloso, di cui sbarazzarsi in fretta prima che sia troppo tardi e la situazione sfugga di mano.
Phantom: un fantasma si aggira per la Corea
Il capo della sicurezza Kaito (Park Hae-soo, già ampiamente visto in Squid Game), fresco di nomina, ha un’idea brillante: riunire i cinque sospettati in un lussuoso hotel di una località balneare, mettendoli con l’astuzia sotto torchio e costringendo il colpevole, prima o poi, alla confessione. Se questo incipit vi ricorda qualcosa, nulla di strano: Phantom ricalca in modo piuttosto fedele le istanze dei due Knives Out con protagonista Daniel Craig. Non solo nella “modalità” investigativa, ma anche nell’estetica glamour e leccata, in cui tutto concorre alla creazione di quadri geometrici perfetti.
Ma l’opera di Lee Hae-young vive molte vite (forse troppe?), e nelle sue due ore abbondanti di durata muta diverse volte forma e contenuto, ammiccando quasi sempre – croce e/o delizia – ai cult del cinema americano contemporaneo. Lo studio attento dei cinque indiziati (tra cui spiccano un ufficiale, un crittografo e una segretaria) ha naturalmente il sapore dello whodunit hitchcockiano, che dissemina indizi e false piste per ingannare anche e soprattutto lo spettatore; ma, nel suo “secondo tempo”, deraglia in un caleidoscopio di riferimenti tanto affascinanti quanto confusionari ed eccessivi.
Il gioco delle spie e la funzione catartica del cinema
C’è di che divertirsi, per chi sa stare al gioco. Anche se le “variazioni” possono risultare estenuanti: con un cambio di registro piuttosto evidente, la seconda parte di questa sensuale spy story d’epoca affonda le mani nell’action puro alla John Wick, con donne e uomini soli in grado di sgominare intere schiere di nemici grazie ad abilità coreografiche fino a quel momento insospettabili. Un climax degno di un film di supereroi di ultima generazione, che affossa definitivamente ogni volontà di verosimiglianza. Eppure di questa totale opposizione al realismo Phantom sembra farne un vanto, mettendola a chiare lettere in evidenza in ogni sequenza.
Il messaggio è chiaro, ed è politico, idealistico: tutti sappiamo come è andata in realtà, con il dominio giapponese che si protrarrà incontrastato fino al 1945; ma almeno l’arte può permettersi di proporre una versione “non conforme” della Storia, ridisegnando fatti e dinamiche, verso una realtà impossibile anche solo da immaginare. È questa, in fondo, la stessa lezione di Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, che inscenava l’incredibile morte di Adolf Hitler. Il cinema può – e in un certo senso, deve – avere una funzione catartica, liberatrice. Facendo anche, finalmente, giustizia.
Phantom: valutazione e conclusione
Film di geometrie e dettagli, leccato e laccato in ogni suo minimo dettaglio. Spiccano la fotografia estetizzante e le interpretazioni efficaci dei cinque protagonisti “indiziati”, nomi di punta della cinematografia coreana. A risentirne sono forse un po’ la sceneggiatura, con la svolta action di metà film, e il coinvolgimento emotivo: tutto troppo preciso e traslucido, per provocare una reale immedesimazione.