Lascia stare i sogni: Yuri Ancarani in mostra

La ricerca visionaria e poetica, fra cinema documentario e videoarte, nella prima mostra monografica in Italia dedicata a Yuri Ancarani, con una selezione di opere che va dagli esordi ai giorni nostri. Al Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano fino all’11 giugno 2023.

C’è tempo fino all’11 giugno 2023 per visitare la prima mostra monografica in Italia dedicata a Yuri Ancarani, il pluripremiato artista e regista ravennate, allestita dallo scorso 4 aprile presso gli spazi del PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, al civico 14 di Via Pastrengo a Milano. Per l’occasione il complesso situato accanto alla Villa Reale, progettato da Ignazio Gardella nel 1949 e costruito tra il 1951 e il 1953, si trasforma in una multisala per accogliere la personale che Diego Sileo e Iolanda Ratti hanno voluto realizzare con una selezione delle sue opere che va dagli esordi ai giorni nostri per portare a un pubblico più ampio e variegato la ricerca visionaria e poetica di un autore capace di creare una commistione unica fra cinema documentario e videoarte. Il risultato è un corpus di opere audiovisive dove la potenza dell’immagine incontra quella del suono, dando forma e sostanza a vere e proprie esperienze immersive e multi-sensoriali.

In Lascia stare i sogni, il visitatore potrà ammirare un corpus di opere audiovisive dove la potenza dell’immagine incontra quella del suono, dando forma e sostanza a vere e proprie esperienze immersive e multi-sensoriali

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L’esterno del Pac – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano

Ed è in questo crocevia tra cinema e arte che il lavoro di Ancarani si muove e trae linfa creativa. Un lavoro dietro la macchina da presa che si concentra, cattura e restituisce, una geografia immaginifica di frammenti che indagano porzioni di reale e verità poco visibili e sconosciuti, nella quale il cineasta di pari passo con l’artista si addentra in prima persona. Il tutto avviene attraverso un percorso di pura osservazione di tipo antropologico, che non lascia spazio ad alcuna forma di manipolazione della realtà che si pone di volta in volta davanti alla cinepresa. Tra Ancarani e la realtà non vi è dunque nessun filtro, semmai c’è un rigore stilistico e un’estetica dell’immagine che si traduce in quadri di straordinaria potenza comunicativa, poetica ed evocativa. Significato e significante s’incontrano senza entrare mai in rotta di collisione, accolti in inquadrature dalla composizione chirurgica e geometrica che come tasselli di un mosaico trovano un senso nella completezza dell’opera che vanno a comporre.   

Una mostra da non perdere per ripercorrere e fare il punto su oltre vent’anni di produzione dell’artista e regista ravennate

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Il manifesto della mostra su Yuri Ancarani dal titolo Lascia stare i sogni, a cura di Diego Sileo e Iolanda Ratti

Tutto questo e molto più emerge nel corso della visita di una mostra da non perdere assolutamente, che ha nel titolo con la quale è stata battezzata un biglietto da visita assolutamente calzante, poiché invita lo spettatore a cogliere con lucidità le diverse sfumature del reale, anche quelle più sommerse che Ancarani ha voluto portare sullo schermo. Da qui Lascia stare i sogni, una citazione da Atlantide, il suo ultimo lungometraggio, presentato in anteprima alla 78ª Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia e candidato al David di Donatello di categoria, che è al contempo il titolo scelto dai curatori per accompagnare questa personale e per fare il punto su oltre vent’anni di produzione dell’artista e regista ravennate. Una personale, questa, nella quale ci siamo addentrati con una curiosità fortissima, dettata dalla possibilità di ammirare le creazioni di Ancarani in un contesto diverso da quello di un festival o di una sala cinematografica. Il fruire dei contenuti audiovisivi da lui firmati all’interno di uno spazio museale, con una serie di sale dotate di schermi dove osservare i suoi lavori come se fossero grandi tele esposte alle pareti è un’esperienza davvero emozionante. Ciò trasmette l’idea di trovarsi al cospetto di vere e proprie opere d’arte, che vanno oltre il filmico e l’audiovisivo in generale.

La trilogia de La malattia del ferro: Il Capo, Piattaforma Luna e Da Vinci

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Sala 1: Il Capo (2010)

Scegliere in autonomia il percorso da seguire, passare da una sala all’altra per guardare da soli o in compagnia il singolo contenuto, rende la visita speciale e ripetibile. Bisogna, infatti, prendersi il giusto tempo per assistere a tutte le proiezioni, con la possibilità di tornare nei giorni successivi (previa prenotazione) con lo stesso biglietto d’ingresso se si è lasciati indietro qualcosa o per una seconda visione. Piccoli monitor con relativo countdown all’ingresso di ciascuna sala, tra le otto complessive a disposizione, consentono al visitatore di turno di conoscere il momento esatto in cui entrare e vedere il film. Si viene accolti da una prima sala dove su uno schermo di grandi dimensioni scorrono le immagini magnetiche de Il Capo, un piccolo gioiello del 2010 della durata di 15 minuti, che segue i movimenti di un operaio che dirige gli scavi in una cava di marmo del Monte Bettogli a Carrara, sulle Alpi Apuane.

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Sala 2: Da Vinci (2012)

Questo è parte integrante di una trilogia denominata La malattia del ferro, che ha in Piattaforma Luna e Da Vinci altri due preziosi assoli che il pubblico potrà vedere rispettivamente nelle salette 3 e 2, poste una accanto all’altra, alle quali si accede dopo avere oltrepassato una tenda rossa. Al loro interno delle sezioni di pavimento ricoperte da moquette blu, con delle sedute, che introducono la presenza di uno schermo. Su di esso viene proiettato il primo cortometraggio, realizzato nel 2011, in cui Ancarani ci porta al seguito di un gruppo di sommozzatori della piattaforma di estrazione del gas “Luna A” a Crotone che lavorano in fondo al mare e vivono all’interno di una camera iperbarica. Nel secondo, invece, ci ritroviamo catapultati in una sala operatoria dell’ospedale Cisanello di Pisa, dove un chirurgo sta eseguendo un’operazione manovrando i bracci robotici del sistema chirurgico da Vinci. In tutti i casi la cinepresa penetra in microcosmi con il fine di esplorare e mostrare senza didascalismi il rapporto tra l’uomo e la macchina.

Da Ricordi per moderna a Il popolo delle donne: la produzione di Ancarani tra passato e presente

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Il parterre con l’antologia Ricordi per moderni (2000-2009)

Da una trilogia si passa a un’altra ed è sufficiente percorrere solo una manciata di metri. Tanti ne bastano per raggiungere le altre due salette che fronteggiano il cosiddetto parterre, un open space nel quale si dispiegano longitudinalmente otto schermi sui quali scorrono in loop alcuni frammenti selezionati tra i primi video girati dall’artista tra il 2000 e il 2009, successivamente raggruppati sotto la voce Ricordi per moderni. Dalla luce soffusa di questo macro-ambiente si può dunque fare ingresso in spazi più intimi e raccolti, quelli delle salette 4 e 5. Quest’ultima offre al visitatore l’opportunità di ascoltare le parole di Marina Valcarenghi, giornalista, attivista politica e psicoanalista in carceri nei reparti dedicati alle violenze sulle donne. Un tema, questo sempre drammaticamente attuale, che diventa il soggetto di approfondimento del lungo monologo del quale la Valcarenghi è protagonista in Il popolo delle donne, realizzato da Ancarani proprio in occasione della mostra al PAC. Ripreso in multi-camera e in presa diretta all’interno del cortile della Legnaia dell’Università degli Studi di Milano, dove lei stessa aveva intrapreso il percorso accademico, il video è un documento importante, ma soprattutto una profonda riflessione in forma di lezione e testimonianza sulla violenza di genere che non potrà lasciare indifferenti coloro che decideranno di seguirlo nella sua interezza.    

La trilogia de Le radici della violenza: San Giorgio, San Siro e San Vittore

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In galleria una collezione di poster delle opere di Ancarani

Nella 4 si possono vedere su due schermi, con partenza a staffetta, i primi due capitoli della trilogia Le radici della violenza, della quale fa parte anche San Giorgio, fruibile invece su un monitor posto su una parete del parterre. Qui Ancarani indaga i contenuti e mostra i protocolli di un caveau all’interno di una banca svizzera non meglio identificata. Con queste tre opere l’autore ci conduce in altrettante topografie, luoghi simbolo di interazione tra i corpi umani, l’architettura e la tecnologia. Se in San Giorgio lo fa scandagliando il perimetro di un ambiente iper-protetto, in San Siro ci porta nel tempio del calcio italiano per raccontare i momenti che precedono il derby meneghino al seguito del personale della struttura, delle forze di polizia, dei tifosi e dei calciatori, mentre nei dodici intensi minuti di San Vittore lo sguardo di Ancarani si va a focalizzare sui controlli di sicurezza a cui sono sottoposti i minori per potere fare visita ai propri genitori nel carcere milanese. Si tratta di visioni che offrono al pubblico un ventaglio di emozioni cangianti e contrastanti, che trasudano senza soluzione di continuità dagli schermi installati di una sala 4 dalla quale si esce storditi e arricchiti.

Un viaggio dal deserto del Qatar a un villaggio rurale di Haiti in The Challenge e Whipping Zombie

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Yuri Ancarani con il premio speciale della giuria della sezione “Cineasti del Presente” al Festival di Locarno 2016 per The Challenge

Una scala che costeggia il muro di sinistra del parterre ci porta infine su un ballatoio dall’alto del quale è possibile avere a portata di sguardo l’intera planimetria messa a disposizione dal padiglione milanese. Qui, lungo le parete, è affissa una collezione di poster dei film di Ancarani, gran parte dei quali presenti nella mostra. Agli estremi di questa balconata, denominata galleria, troverete le ultime due salette, dove sarà possibile chiudere in bellezza questa appassionante e coinvolgente visita. La cinepresa del regista ravennate ci porta in giro per il mondo, per la precisione in Qatar e ad Haiti. Da una parte c’è The Challenge, il documentario che è valso all’autore il premio speciale della giuria della sezione “Cineasti del Presente” al Festival di Locarno 2016, nel quale segue un gruppo di sceicchi alle prese con gare di automobilismo e falconeria nel deserto. Dall’altra parte della galleria si cambia latitudine e si finisce in un villaggio rurale di Haiti, che fa da cornice a una danza rituale vudù chiamata kale zonbi, che diventa il baricentro del racconto per immagini e suoni di Whipping Zombie. Si tratta di un cortometraggio visivamente impressionante, che lascia il segno nella retina di chi lo guarda. Due mondi per altrettanti viaggi filmici a migliaia di km di distanza alla scoperta di luoghi e popoli lontani. Mondi spesso inaccessibili, che grazie alla macchina da presa e allo sguardo di Ancarani avremo modo di conoscere ancora più in profondità.