The Ferragnez ‒ Stagione 2: recensione della serie TV Prime Video
Tra MET Gala e Sanremo, fitting con Donatella e ritorni a Cremona, la seconda stagione di The Ferragnez procede come la prima in un'infinita Instagram Stories. Ma entrano alcune variabili impreviste e imprevedibili: la malattia, la paura e la guarigione.
Per quanto se ne dica, la prima stagione di The Ferragnez, in Italia, è stata qualcosa senza precedenti. Un’operazione strategica di branding che amplificava per mille, grazie alla portata di una piattaforma accessibile come quella di Prime Video, la sovresposizione mediatica come stile di vita adottata ormai da anni dalla coppia social media addicted Chiara Ferragni e Fedez, creando attorno alla messa in onda del prodotto una spaccatura in due nel pubblico, perfetto retaggio dei nostri grami tempi del “va bene, purché ne se parli”.
Il docu-reality formato famiglia, al di là dei contenuti effettivi che proponeva, ha generato come previsto un (corto)circuito di polemiche e polarizzazioni, diti puntati e idolatrie, e tanto bastava per alzare inutili polveroni buoni solo a non accorgersi quanto ormai l’imprenditrice digitale e il rapper fossero invincibili e intoccabili, già consci del fatto che tutte quelle provocazioni sarebbero servite, a loro vantaggio, come benzina per accelerare il motore di una seconda, assodata stagione, arrivata con le prime quattro puntate dal 18 maggio 2023.
The Ferragnez 2: dalla sala operatoria al palco di Sanremo
Diciamolo subito: il secondo capitolo di The Ferragnez non apporta alcunché di nuovo nell’auto storytelling senza fine dei due coniugi. Segue semplicemente il medesimo iter di montaggio che agglomera stories di Instagram, riprese del quotidiano, confessionali, terapia di coppia, video inediti, e tutto il materiale emotivo tra lacrime, crisi matrimoniali, diverbi caratteriali, amore per i figli. Cambia semmai gli eventi, le location, i viaggi, e apre le porte ad un primo episodio dedicato tutto alla malattia di Fedez, accendendo le telecamere degli smartphone lì dove non vorremmo mai entrare.
Se ormai sembra quasi naturale vederli (e vederci) vivere in un quotidiano documentato, riferito, spifferato ‒ quotidiano il loro fatto di collaborazioni con noti brand, consueti fitting con Donatella Versace e Maria Grazia Chiuri, liti post MET Gala su possibili flirt di sguardi con Gigi Hadid e Jacob Elordi (chi di noi), rendendola allo stesso tempo la vita più straordinaria e più banale possibile ‒ , l’accensione della spia rossa a un passo dalla stanza operatoria del San Raffaele forse un po’ fuori posto ci fa sentire; un invasione di spazi e di fragilità tangibili (la possibile vicinanza con la morte) che sembra tornare dritta alla grande questione d’apertura che ha accompagnato la prima stagione: è giusto (per nostra esplicita volontà) mostrarci, raccontarci in ogni frangente di vulnerabilità, oppure bisognerebbe ripensare a un confine, a un limite da cui riposizionarsi all’interno della società?
The Ferragnez 2: conclusioni e valutazioni
Se ha ancora senso porci questa domanda, e se ha ancora senso non avere risposte certe su tutto, allora The Ferragnez 2, tolto il divertissement, il glamour, i cachet di Sanremo devoluti, la pretesa di essere veicolo per trasmettere messaggi, la simpatia o l’antipatia, le challenge personali su un grattacielo di New York, potrebbe fungere ancora da ponte, da stimolo (si spera costruttivo) al nostro approccio di autorappresentazione perenne, alla documentazione indotta di noi stessi, alla capitalizzazione delle emozioni, dei traumi, della salute mentale, della malattia.
Ecco, forse in quest’ottica, il valore ultimo della serie, che la si detesti, che la si commenti, che la si adori o boicotti, si concentra tutto in quel primo, spiazzante episodio: lì dove la paura effettiva della morte come variabile imprevedibile viene esorcizzata con il cellulare puntato su di sé, tutte le domande sul bene e sul male, sul giusto e sbagliato, si annullano e tornano direttamente al mittente: la nostra, intima, personalissima idea su cosa voglia dire coscienza. E come decidiamo di usare, esponendolo o no ai nostri follower, il nostro tempo a disposizione.