In Silenzio: recensione della serie TV su Netflix
La recensione di In Silenzio, la nuova serie thriller/mystery con protagonisti Arón Piper e Manu Ríos, disponibile su Netflix dal 19 maggio 2023.
Il tonfo sordo di due corpi agonizzanti, schiantati a terra uno dopo l’altro dal balcone di un palazzo, è il suono che apre il primo, fortissimo, episodio di In Silenzio, la nuova serie spagnola thriller/mystery creata e prodotta da Aitor Gabilondo, dal 19 maggio su Netflix. A gettarli in un impeto di rabbia il figlio poco più che vent’enne Sergio Ciscar (Aarón Piper), uscito di prigione sei anni dopo i fatti e tornato in un maledetto appartamento ai piani alti di un elegante quartiere di Madrid, dopo averne ereditato, per ironia della sorte, tutti i beni posseduti.
In Silenzio: su Netflix una serie spagnola concretamente (del tutto?) riuscita
Trincerato in un mutismo volontario, dalla ferocia imprevedibile e dal quoziente intellettivo superiore alla media, il giovane assassino nel suo precoce ritorno in società ha suscitato lo sdegno di una nazione intera: d’altronde cosa c’è di più innaturale di un figlio che uccide, in maniera così efferata, entrambi i genitori?. Tuttavia, la certezza che Sergio non sia solo un carnefice mobilita il progetto di una tormentata e introversa psicoterapeuta (Almudena Amor), la quale, assieme al suo team di esperti, viene incaricata di monitorare la sua libertà vigilata, seguendo ogni sua mossa 24 ore su 24 attraverso telecamere, microfoni e spie per stabilire la sua potenziale pericolosità.
Viene così allestita una stanza proprio difronte alla finestra del suo appartamento: lì, Ana potrà osservare Sergio studiandolo in ogni minimo dettaglio, da quando incontra il Pastore evangelico (Ramiro Blas) che lo ha accolto nella sua comunità di recupero, ai suoi momenti privati, sentimentali e carnali, con Marta (Cristina Kovani), una giovane commessa che, irresistibilmente attratta dal magnetico killer del balcone, ha iniziato a scrivergli lettere in carcere dando inizio a una relazione proibita che metterà più volte a repentaglio la sua incolumità.
Attrazione e iconografia del “mostro” Aarón Piper
“Ibristofilia”, così si chiama l’attrazione sessuale verso persone che hanno commesso criminali violenti, di cui sembra soffrire quest’ultima (e non solo lei). Una forma di parafilia che ricollega la mente al seguito di fan e ragazze infatuate da pericolosi criminali degli anni Sessanta/Settanta come furono Charles Manson, Ted Bundy o Jeffrey Dahmer. Idolatria torbida che nella serie assume invece le fattezze di uno degli attori/icone generazionali più desiderati del panorama contemporaneo spagnolo, Aarón Piper.
Attorno al suo corpo lievemente tatuato e al suo viso blindato tra bellezza e mostruosità, In Silenzio riesce perfettamente a calamitare l’oggetto di sguardo come centro delle pulsioni e della bramosia dei personaggi femminili; un’attenzione morbosa verso chi non si può possedere ma solo idealizzare che assume i toni di un affascinante (meta)racconto sul voyeurismo e sul desiderio come metafora dei meccanismi cinematografici fra schermo e spettatore. La regia, infatti, indugia a lungo sul concetto chiave dello spiare a distanza di sicurezza, scegliendo mirati movimenti di macchina come continui zoom in avanti fra palazzi, finestre, porte e stanze segrete dove uno specchio, in realtà, è anche un vetro trasparente da cui poter intravedere tutto.
In Silenzio: conclusione e valutazione
Gravitando nel perimetro della risoluzione di un giallo, in questo caso un doppio parricidio istigato forse da sperimentazioni farmaceutiche e precarie condizioni psicologiche non arginate in tempo, la serie Netflix, nonostante sfori in alcuni momenti forzatamente drammatici, stonando la compostezza complessiva dell’andatura generale, offre di certo qualcosa di più concreto, geometrico e meno inconsistente di tanti altri prodotti spagnoli, scegliendo lucidamente attori come i prodigi di Élite Aarón Piper (calibratissimo e finalmente pronto a un ruolo più complesso) e Manu Ríos (nella parte antagonista del fidanzato di Marta, Edeko) come attrazione di un pubblico perlopiù generalista, per poi sorprendere con la sostanza narrativa di sei puntate corpose in tensione e di colpi di scena.
Ben attento a non strafare, tranne forse alla prima metà dell’ultimo episodio in cui un si scardina, manomettendolo, il filo di tensione (anche sensuale) che lega due personaggi outsider e incompresi (i più importanti, lo capirete), In Silenzio mostra l’abilità e il potenziale di una serie che ha il contenuto e le modalità per riuscire a distinguersi, lanciato verso una seconda stagione che se ci sarà, si aprirà ancora, come la prima, con un corpo che cade a terra da quello stesso balcone.