American Born Chinese (Alla ricerca di me): recensione della serie fantasy Disney+
La commedia d’azione fantasy, incentrata su due adolescenti, è un mix tra una storia coming of age - e riscoperta di sé - e una narrazione che trasporta nel misticismo e nella narratologia orientale.
American Born Chinese parla di eroi, ma non supereroi come si intendono oggi, come Batman, Superman, Spider-man e così via, ma, citando una frase dalla serie, “sono quelle persone che intraprendono il loro cammino, che mostrano coraggio, che aiutano gli altri. Un eroe è una persona con superpoteri, o solo una persona che decide di combattere per qualcosa di importante.”
La serie, conosciuta in Italia anche come Alla ricerca di me, ideata da Kelvin Yu e adattamento del romanzo a fumetti americano American Born Chinese di Gene Luen Yang – a sua volta ispirato dal classico della letteratura cinese del XVI secolo Viaggio in Occidente -, segue le vicende di Jin Wang e di Wei-Chen, due ragazzi provenienti da mondi diversi che dovranno fare squadra per salvare il Regno Celeste dalle mire del Re Demone del Toro.
Lo show, disponibile sulla piattaforma streaming di Disney+ dal 24 maggio 2023, si suddivide in 8 episodi relativamente brevi, tra i 29 e i 43 minuti ciascuno, e vede nel cast volti relativamente nuovi come Ben Wang, Jimmy Liu, ma anche nomi piuttosto noti del cinema asiatico come Yeo Yann Yann, Chin Han, Daniel Wu, e Leonard Wu, di spicco invece è la partecipazione (molto pubblicizzata) dei neo-premi Oscar Michelle Yeoh e Ke Huy Quan, oltre ad una breve comparsa di Stephanie Hsu. Questi, i tre volti del popolarissimo Everything Everywhere all at Once (2022), pluripremiato alla scorsa edizione degli Oscar.
American Born Chinese: tra teen comedy-drama e misticismo del folklore cinese
Protagonista di American Born Chinese è Jin Wang, un liceale figlio di immigrati cinesi, un po’ nerd e un po’ alla ricerca di una certa popolarità, o almeno accettazione, tra i compagni di scuola, che però lo porta a negare la propria identità ed eredità culturale – subendo in silenzio il sottile e involontario razzismo che fa ancora parte della società attuale. A scombussolare questa sua ricerca di normalità è un nuovo studente di scambio cinese, Wei-Chen, affidato alla guida di Jin in nome di una comune identità (parole della preside del Liceo). Eppure, i due non hanno quasi nulla in comune, mentre Jin è apparentemente un semplice adolescente, amante (in segreto) dei fumetti e con l’ambizione del calcio; Wei-Chen è in realtà una figura quasi mistica, è infatti il figlio del Re Scimmia (noto anche come Sun Wukong), ed è alla ricerca della mitologica quarta pergamena che si trova sulla terra. Per la ricerca di questo oggetto magico, in grado di fermare la rivolta da parte del Re Demone del Toro contro il Regno Celeste, Wei-Chen pensa di trovare la propria guida in un ragazzo umano: Jin.
Questa rivisitazione della classica e antica opera letteraria contenuta in Viaggio in Occidente offre allo spettatore una serie che fonde il teen-drama con l’accettazione di sé e delle proprie origini, oltre ad una sana dose di fantasy, misticismo, cultura orientale e anche un bel po’ di arti marziali. Dopo Everything Everywhere all at Once (2022), Red (2022) e Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli (2021), questa serie, firmata Disney+, cerca di portare sul piccolo schermo la cultura orientale, non solo dal punto di vista dei cliché del passato – come storie incentrate sugli eroi delle arti marziali, ma portando interessanti sguardi su temi quali: l’eredità culturale, i capisaldi della famiglia, l’identità, ma anche la connessione e la riscoperta delle proprie origini, oltre che ad un’accettazione del proprio io e della collettività di cui si fa parte.
American Born Chinese è un mix equilibrato di una storia coming of age che si annida attorno alla più leggera e divertente storia d’avventura e fantasy ispirata al folklore cinese. A tratti funziona meglio la parte più avventurosa e action della serie, a tratti invece l’analisi sociale e culturale di un ragazzo americano di origine cinese emerge come più sincera e originale. A volte varie scene non convincono proprio, non perché poco interessanti ma perché poco funzionali alla storia vera e propria – è comunque normale che in 8 episodi ci si ritrovi in situazioni di stallo.
American Born Chinese funziona non tanto per le avventure o per il fantasy ma perché sa regalare momenti sinceri
American Born Chinese è una serie un po’ per tutti, per chi ama i fumetti, per chi ama le storie coming of age, per chi apprezza il fantasy e il kung fu, ma anche per chi ama immergersi in storie umane, dove la scoperta di sé è fondamentale e dove il dramma familiare influenza le generazioni successive.
La serie, dal punto di vista della sua trama fantasy, è ben costruita e semplice da seguire. Spesso però i continui rimandi e citazioni a opere e personaggi prettamente della cultura orientale – da fumetti, a romanzi, al cinema di Hong Kong – pone lo spettatore occidentale in una situazione di svantaggio, in quanto spesso sprovvisto delle conoscenze necessarie per capire appieno l’estensione di questa meta-narrazione. Inoltre, ciò che appare inizialmente come una trama secondaria, cioè il dramma familiare, invece si rivela essere un elemento fondamentale della storia. Traspare così, nel corso della serie, una sincera e onesta analisi delle dinamiche familiari di una famiglia di origini orientali – delle relazioni al suo interno alle difficoltà, soprattutto del protagonista Jin, di conciliare l’identità americana con quella cinese, ma anche l’io, la famiglia e la vita sociale.
Particolarmente interessante è quindi la (ri)scoperta della propria identità ed eredità cinese, ma anche l’accettazione di un doppio io: americano e cinese. E se Jin inizialmente evita di dar peso all’involontario e ignorante razzismo dei compagni di scuola, negando quindi a sé stesso di sentirsene offeso; nel corso della serie – grazie a Wei-Chen e anche all’attore Jamie Yao – si rende conto che essere un americano di origine cinese non è una colpa o un peso, ma una parte di sé di cui andare fiero.
Jamie Yao (interpretato brillantemente da Ke Huy Quan) è un personaggio che, seppur compaia per pochi minuti nel corso degli episodi, è l’incarnazione del cambiamento del protagonista Jin. Yao è un ex-attore, ormai lontano dalle scene che insegna recitazione al College, celebre per aver interpretato Freddy Wong nella (fittizia) sitcom Beyond Repair. Il personaggio di Freddy – un giovane totalmente sfortunato e propenso ad attirare su di sé la iella (ventilatori che gli cadono in testa, oggetti sui cui inciampa ecc…) – torna al centro dell’attenzione dopo che alcune sue scene prese dalla sitcom diventano virali sui social, dopo anni dalla fine della show, portando a una nuova ondata di “apprezzamento” per il personaggio ma anche di derisione. Video virali che gli adolescenti a scuola (ma anche gli adulti a casa) trovano esilaranti, e che lo stesso Jin tenta di trovare divertente. Ma quando un video, che ritrae Jin in un incidente scolastico causato da un atto di bullismo viene affiancato ad una clip di Yao nella sitcom, Jin inizia a capire che la violenza casuale sugli asiatici è tutt’ora vista come divertente.
Il costante rimando alla sitcom con Jamie Yao, vista nel corso di American Born Chinese come un sottofondo in tv alle scene della trama principale, in realtà è un accompagnamento metaforico alle difficoltà del protagonista Jin ad accettare la sua identità. E poi nel settimo episodio della serie abbiamo una delle scene più significative e importanti dello show: la partecipazione di Jamie Yao a un’intervista televisiva con i colleghi di Beyond Repair in una sorta di reunion. L’incontro televisivo diventa occasione per Yao di mettere in luce le difficoltà degli attori asiatici ad una giusta rappresentazione nei media. E quando dice: “io volevo dei ruoli, ma quelli che mi offrivano erano il nerd o il vicino di casa, qualche volta il ninja. Volevo la parte dell’eroe. I miei genitori erano degli eroi, ma le persone come loro non erano in tv”, capiamo il vero ruolo del personaggio interpretato da Ke Huy Quan. Il suo personaggio non offre solo uno sguardo onesto e lucido sul mondo di Hollywood ma anche sulle difficoltà delle minoranze nella società. E allo stesso tempo è una metafora della storia di Jin, che tenta di conciliare la sua identità di americano con quella cinese.
American Born Chinese: conclusione e valutazione
American Born Chinese, dal punto di vista tecnico sa mantenere buoni ritmi grazie ad una sceneggiatura leggera e a un montaggio capace di far scorrere la narrazione in maniera fluida, abile nel destreggiarsi in scene e sequenze che rimandano a generi cinematografici diversi, tra commedia e dramma, ma anche avventura e scene d’azione che saltano all’occhio per l’influenza dei film d’azione di Hong Kong. La regia invece quasi non traspare, ma in senso positivo. A saltare all’occhio sono anche i costumi e il lavoro di acconciature che, seppur appaiono di scarsa manifattura, restituiscono comunque un je ne sais quoi totalmente in linea con lo stile della serie: un po’ adolescenziale e un po’ ironico. Fondamentale ormai anche offrire qualche riflessione anche agli effetti speciali, preponderanti nelle produzioni moderne; qui, seppur non eccellenti non distraggono dalla visione dello show, ma anzi spesso stupiscono per la loro qualità, essendo comunque una produzione televisiva.
La serie invece emerge soprattutto per la recitazione da parte dei membri del cast, specialmente gli adulti, in particolare Yeo Yann Yann (Christine Wang, madre di Jin), Chin Han (Simon Wang, padre di Jin) e Michelle Yeoh (Guanyin, Dea della compassione); non facciamo una colpa invece ai giovani Ben Wang e Jimmy Liu, probabilmente alle prime armi, che sanno comunque destreggiarsi nelle loro parti. Speciale attenzione va rivolta a Ke Huy Quan, che con un tempo limitato è capace di emergere come uno dei personaggi chiave, portando sulle proprie spalle il carico emotivo in poche, ma significative scene.
In conclusione, American Born Chinese, è una serie che non si prende troppo sul serio ma comunque capace di essere divertente e ironica, ma soprattutto sincera, e nella sua apparente naïveté anche piuttosto seria. All’inizio sembra quasi noncurante del sottile razzismo di sottofondo che infligge ai propri personaggi, ma con il sub-plot di Jamie Yao (Quan) apparentemente marginale, è capace di rivelare e mettere in evidenza un sincero disappunto verso una società ancora inconsciamente e involontariamente xenofoba e razzista. American Born Chinese è carino se vi fermate all’aspetto fantasy e del teen drama, ma lo apprezzate se sapete cogliere i messaggi più sinceri che la storia vi propone.
Attenzione anche al finale, che lascia aperta, o meglio dire spalancata, la porta ad una seconda stagione.