Francesco Di Leva, oltre il successo: “I giovani non si danno il tempo di fallire”
Intervista a Francesco Di Leva protagonista insieme alla figlia Morena del cortometraggio di Elisabetta Giannini Sognando Venezia presentato al Pesaro Film Festival.
Abbiamo visto Francesco Di Leva recentemente sul palco dei David di Donatello emozionato per la vittoria come migliore attore non protagonista per il ruolo di Don Luigi Rega nel film di Mario Martone Nostalgia, per la quale ha ringraziato il regista, la moglie e il protagonista del film Pierfrancesco Favino.
Francesco Di Leva, è tra gli attori più affermati della sua generazione grazie a una lunga gavetta, a una grande sensibilità e una passione viscerale per il suo mestiere. Un amore che trasmette alle nuove generazioni anche attraverso il suo lavoro al NEST, Napoli Est Teatro, fondato con altri colleghi alla periferia est di Napoli per dare una speranza e una possibilità in più ai ragazzi della zona, per promuovere un teatro di impegno. Non a caso ha scelto di partecipare al cortometraggio della giovane regista Elisabetta Giannini dal titolo Sognando Venezia, presentato alla 59esima edizione del Pesaro Film Festival, in cui recita con la figlia Morena. Il corto racconta le vicende di Vittoria, una ragazzina di tredici anni che vive nella provincia di Napoli e sogna di diventare influencer e di ottenere la tanto agognata spunta blu sui social. Suo padre per il suo compleanno le regala un biglietto per sfilare sul red carpet di Venezia e insieme si preparano per l’evento testando diversi outfit. Ma il fatidico giorno ci sarà una svolta inaspettata. Ne abbiamo parlato con Francesco Di Leva.
La nostra intervista a Francesco Di Leva
In pochi minuti il cortometraggio di Elisabetta Giannini dà una fotografia puntale dei nostri tempi…
“Il corto racconta quello che sta accadendo in questo momento storico, mia figlia Morena è sui social e per questo mi sono sempre interessato a un fenomeno che oggi credo stia facendo molti danni. Il percorso dei social in un primo momento sembrava quasi rivoluzionario, ma oggi si sta rivelando sempre più disastroso. Molte persone costruiscono la loro vita sui social, una vita finta, mostrandosi felici quando forse in realtà non lo sono, questa cosa mi spaventa molto. La felicità mostrata diventa quasi una maschera. Tutto è bello e positivo, lo testo anche su me stesso, quando guardo Instagram e Facebook divento inquieto come se provassi una sorta di invidia per le cose altrui, non si mostra quasi mai il fallimento, quando poi succede tutti quanti accorriamo ad aiutare soltanto per l’effetto che può fare quella notizia sui nostri follower. Rifletto tanto sul fatto che con molte persone che seguiamo sui social non abbiamo un rapporto vero, sappiamo solo quello che ci dicono, e penso che li seguono adolescenti che non hanno gli stessi strumenti di un adulto e credono che quello che fanno e dicono sia giusto a prescindere. Sto pensando di fare un documentario sugli influencer napoletani, sta venendo fuori la parte peggiore di Napoli sui social, voglio capire cosa c’è dietro, vorrei parlare di questo fenomeno con uno sguardo sincero”.
La cronaca più recente ci ha purtroppo mostrato quanto la smania di popolarità e del guadagno facile può portare a conseguenze tragiche…
“La situazione ci sta sfuggendo di mano, e lo sguardo che ha avuto una giovane ragazza, una regista come Elisabetta Giannini su questa questione, il modo in cui ha raccontato il vero e il falso che appartiene alle nuove generazioni mi ha emozionato, il suo è un pensiero profondo su quello che sta accadendo”.
Francesco Di Leva: “I giovani non si danno il tempo di fallire”
Da giovane quando studiavi per diventare attore “subivi” il fascino del successo?
“Io ho vissuto in un’altra epoca rispetto a quello che vivono oggi i giovani, ero attratto dal mestiere dell’attore, sapevo che dovevo curare uno strumento che era il mio corpo, la mia voce, di dover imparare a usare il diaframma, capire la drammaturgia, predispormi alla lettura, e quindi il mio sguardo andava per ovvie ragioni verso il teatro, non sono mai stato attratto da quello che è il lato economico di questo mestiere, dal successo, dal fatto di essere riconosciuto per strada, per esempio. Io guardavo alla recitazione come a un lavoro come tanti altri. Ho studiato tanto, lavoravo su me stesso, oggi i ragazzi sono già oltre, si produce tantissimo, vedono la possibilità dietro l’angolo, sanno che prima o poi arriverà il loro momento. La generazione teen sta esplodendo nella serialità, anche se sono contento che tutto il comparto televisivo e cinematografico lavori, soprattutto anche su Napoli, mi preoccupa la qualità, predisporre le persone alla qualità deve essere un dovere da parte degli artisti e dei produttori e forse sta venendo un po’ meno, si produce con una grande velocità e purtroppo non sempre la velocità è sinonimo di qualità”.
Francesco Di Leva: “’Rubare’ il metodo dai maestri”
Stando a contatto con le nuove generazioni grazie al NEST cosa suggerisci ai “tuoi” ragazzi?
“Io provo a dire ai ragazzi del NEST di avere pazienza, di non rincorrere il successo. Mi ricordo che quando ho girato Il clan dei camorristi, era il 2011, la gente mi riconosceva per strada e io dicevo di essere il fratello gemello dell’attore che vedevano nella serie, mi imbarazzava questa cosa, facevo fatica a gestire la popolarità. Una volta Toni Servillo ha detto: “Avere successo da giovani è una delle più grandi disgrazie che ti possono capitare”, io credo che sia vero, perché non hai possibilità di fallire, che è un passaggio importante per la crescita di un individuo in generale, per un artista ancora di più. Per usare una metafora, quando inizi ad andare a cavallo per essere bravo davvero devi sperare prima o poi di cadere da cavallo, è l’unico modo per imparare a starci bene, a conoscere bene l’animale. I giovani non si danno il tempo di fallire. Noi al NEST cerchiamo di fare palestra sul corpo dell’attore, dare uno sguardo diverso sulla vita. Io dico sempre ai genitori di portare i figli a teatro, in questo modo possono capire i loro gusti artistici e vedere cose diverse, mondi diversi. Ma i ragazzi spesso sono portati a pensare di dovere guadagnare subito perché te lo impone la società, è faticoso far capire veramente che cosa è importante. Ma il lavoro vero in questo senso è dei genitori, ma spesso, come fa il mio personaggio nel corto, si prova ad accontentare i figli. Io ho avuto degli insegnanti che mi hanno spiegato che dovevo darmi degli obiettivi e cercare di realizzarli, questo mi ha cambiato la visione del mondo, ho incontrato Francesco Rosi e poi Mario Martone, erano i miei obiettivi. Adesso sono altri, voglio incontrare sul mio cammino artistico Salvatores, Moretti, Sorrentino, voglio attingere dal loro sguardo, dalla loro sensibilità, voglio capire il loro metodo. Come si fa per un lavoro artigianale che impari in laboratorio anche per la recitazione devi “rubare” il metodo, il metodo fa la differenza in un mestiere.”
Ai David hai ringraziato Mario Martone, tua moglie e Pierfrancesco Favino, in questo mestiere quanto è importante avere delle persone di riferimento, dei compagni di vita che ti ispirano e ti accompagnano?
“Mario Martone lo è stato e continua ad esserlo, ma ci sono altre persone molto vicine a me, come Adriano Pantaleo, un attore bravissimo, cofondatore del NEST, che sento tantissime volte al giorno, per me è un punto di riferimento che coinvolgo quando devo prendere delle scelte importanti. Ad accompagnarmi in questo viaggio ci sono tante altre persone, come il mio ufficio stampa Sara Battelli, e la mia agente che capisce se è giusto o meno che faccia un film. I punti di riferimento sono quindi anche le persone che sono con me ogni giorno”.
Cosa puoi dirmi dei tuoi prossimi progetti?
“Posso solo dirti che prossimamente mi vedrete in un film dal titolo The Glory Hole per la regia di Romano Bruno Montesarchio”.