Insidious – La Porta Rossa: recensione dell’horror di e con Patrick Wilson
Insidious: La Porta Rossa è l'ultimo capitolo della fortunata saga horror. Diretto da Patrick Wilson, che è anche protagonista insieme a Rose Byrne e Ty Simpkins. Dal 5 luglio 2023 nelle sale italiane.
Non si può parlare di Insidious: La Porta Rossa senza fare prima un po’ di chiarezza, ricordando che il film, nelle sale italiane dal 5 luglio 2023 distribuito da Sony Pictures Italia, è il quinto in ordine di uscita ma solo il terzo in termini di cronologia della saga. Sequel diretto dei primi due capitoli, Insidious (2010) e Oltre i confini del male – Insidious 2 (2013). I successivi, rispettivamente del 2015 e del 2018, si chiamavano Insidious 3 – L’inizio e Insidious – L’ultima chiave ed erano prequel. Si torna, con il quinto episodio, a flirtare con il tempo presente e il cast originale di una delle epopee horror più apprezzate degli ultimi anni. C’è spazio per qualche novità.
In scena e fuori. Il tempo ha inciso, eccome se ha inciso, sulle dinamiche emotive dei Lambert; la storia scivola ancora sulle cicatrici e i tormenti extrasensoriali di una famiglia molto speciale. C’è poi margine per qualche cambiamento anche dietro le quinte, se è vero che Insidious: La Porta Rossa segna l’esordio alla regia del protagonista, Patrick Wilson. Completano il cast Rose Byrne, Ty Simpkins, Andrew Astor, Hiam Abbass, Sinclair Daniel. La storia è ambientata circa un decennio dopo la conclusione del secondo Insidious.
Insidious – La Porta Rossa: un padre e un figlio devono ricominciare a parlarsi, sullo sfondo di un mistero inquietante
Nove anni sono un periodo molto lungo, ma per Dalton (Ty Simpkins) e Josh Lambert (Patrick Wilson) non fa differenza quanto tempo sia passato dagli eventi dell’ultimo film, perché di quella roba non ricordano più nulla. Una scelta deliberata, per conservarsi un minimo di pace interiore: cancellare con l’ipnosi le memorie più traumatiche e turbolente collegate all’Altrove, la dimensione extrasensoriale abitata dalle anime torturate dei defunti, lo sfondo simbolico e il campo di battaglia della saga. Per quel che riguarda Insidious: La Porta Rossa l’Altrove, almeno nella prima parte del racconto, la più solida, è un opaco retaggio del passato, difficile da visualizzare ma a suo modo presente, ingombrante. Josh e Dalton hanno altri problemi a tenerli occupati, all’inizio.
Padre e figlio, ma solo all’anagrafe, perché non c’è modo, per i due, di confrontarsi in maniera costruttiva. Renai (Rose Byrne) e Josh sono separati, ha lei la custodia dei figli, oltre a Dalton c’è anche il più piccolo, Foster (Andrew Astor). Dalton sta per andare al college e, dietro suggerimento dell’ex, Josh si offre di accompagnarlo, magari è l’occasione per chiarirsi e cementare un legame precario. Le cose non vanno per il verso giusto, padre e figlio si separano brutalmente e senza sapere di preciso come fare, a ricucire. Ci penserà l’Altrove, bussando nuovamente alla porta dei Lambert, a metterli sulla strada giusta. Josh e Dalton hanno un problema, un’inesplicabile minaccia che affiora sull’orlo della coscienza e ne turba l’equilibrio interiore.
Dalton al college studia arte con un’insegnante fuori dagli schemi (Hiam Abbass), fa subito amicizia (Sinclair Williams), per il resto recita la parte dell’emarginato. Ha paura del buio e non può fare a meno di dormire con una piccola luce accesa, altrimenti il sonno è funestato da visioni orribili. Josh ha i processi cognitivi rallentati e una strana “nebbia” gli intorpidisce la memoria. Teme il peggio, un problema neurologico grave; è deluso quando scopre che non è così, perché la malattia avrebbe spiegato molte cose. Dalton, spinto da una forza senza nome, dipinge ossessivamente una porta rossa, la porta di uno scantinato. E accanto alla porta, una figura mostruosa dal volto indecifrabile. È la chiave dell’enigma. Per risolverlo, Josh e Dalton dovranno fare i conti con l’Altrove, insieme a Renai e Foster. Ancora una volta, per il cinema americano contemporaneo, tutto nasce e si risolve in famiglia. Traumi compresi.
La poesia sinistra dell’Altrove, per un horror a vocazione familiare
Insidious: La Porta Rossa è un compendio abbastanza puntuale dei temi ricorrenti nel discorso cinematografico americano attuale, horror ma non solo: il peso e l’eredità del trauma nella definizione di vissuto e personalità dei personaggi, la famiglia come nucleo sociale standard e approdo ineludibile di ogni esperienza, l’eterna partita tra cinema d’atmosfera e cinema degli shock fisici, perennemente vinta dal secondo. Convince soprattutto la prima parte perché la regia dell’esordiente, per nulla sprovveduto, Patrick Wilson (su sceneggiatura di Leigh Whannell e Scott Teems), riesce a trovare un equilibrio soddisfacente tra la cronaca del quotidiano “rallentato” e disturbante di Josh e Dalton e gli shock sinceramente inquietanti che sono il marchio di fabbrica della saga. La tensione e la paura sono cementate da una strategia narrativa di elementare efficacia: la normalità della vita è sistematicamente interrotta da improvvisi lampi di paura. Semplice e funziona, anche.
Semplice, lineare, è anche il modo con cui l’Altrove è offerto al pubblico, infuso di una qualità onirica e ovattata. Patrick Wilson si dedica all’esplorazione di una dimensione “altra”, rispetto all’ordinario, preoccupandosi di preservarne il potenziale poetico. Poesia macabra e mortuaria, quella dell’Altrove, sempre poesia. Una seconda parte più confusa e imprecisa non mantiene del tutto le promesse e la tensione evocate nella prima metà di Insidious: La Porta Rossa. Il messaggio di un film che è anche seduta psicoanalitica familiare, a metà strada tra il nostro mondo e il limbo dei torturati, è il monito a non rimuovere i traumi – non è mai la scelta giusta – piuttosto occorre trovare il coraggio di affrontarli, insieme. La famiglia come soluzione, ma anche causa, della maggior parte dei problemi. L’ambiguità del pensiero non è approfondita, ma le priorità della storia erano altre, sarebbe sciocco ignorarlo.
Insidious – La Porta Rossa: conclusione e valutazione
Orrore kubrickiano? Corretto: l’Altrove, con il suo carico di sinistre minacce, trova nella famiglia in pericolo un terreno fertile, in particolare guardando alla disfunzione del rapporto padre figlio. Rinuncia, il film, alla profondità della riflessione, puntando sulla violenza e la deflagrazione di shock improvvisi – funzionano sempre – oltre che sui toni saturi e opprimenti di una fotografia, un’estetica, soffocante e malata. Insidious: La Porta Rossa conclude la saga lasciando che il tempo scorra, nella storia così come nella vita reale, traendo le dovute conseguenze. Un horror solido e senza la pretesa di riscrivere le regole del gioco; il suo lo fa, sarebbe a dire tenere lo spettatore sui carboni ardenti di una tensione senza scampo. Una maggiore attenzione nella definizione psicologica del cast di contorno, avrebbe giovato.