Céline Loiseau: intervista alla produttrice dell’Orso d’Oro a Berlino 2023, “viviamo come in una scatola”
“Viviamo in una società in cui devi essere come in una scatola, devi adattarti a quella scatola, e quindi chi è un po' fuori dagli schemi diventa inquietante, difficile da accettare." Intervista alla produttrice di Sur l’Adamant, vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2023
Giurata della 18esima edizione del Sole Luna Doc Film Festival di Palermo insieme a Firouzeh Khosrovani, Giorgio Gosetti, Juan Carlos Reche Cala e Aliza Wong, che ha assegnato il premio per il “Miglior lungometraggio” al film Adieu Sauvage, opera prima di Sergio Guataquira Sarmiento, Céline Loiseau è la produttrice di Sur l’Adamant, il documentario di Nicolas Philibert vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2023.
Il film è incentrato su l’Adamant, un centro diurno speciale costruito su una struttura galleggiante. Si trova nel cuore di Parigi, proprio sulla Senna, e accoglie tutti coloro che soffrono di disturbi mentali. Queste persone a l’Adamant possono essere seguite, curate e vengono aiutate a riprendersi o a tirarsi su di morale. Il team che segue i pazienti cerca in ogni modo di resistere al deterioramento e alla disumanizzazione della figura dello psichiatra, instaurando un rapporto che aiuti le persone a ristabilire la propria mente nel tempo e nello spazio. Il film sale a bordo dell’Adamant in un viaggio in cui lo spettatore incontra i pazienti e gli operatori sanitari, osservando come si svolge la loro giornata, che ogni mattino deve essere inventata.
Abbiamo intervistato la produttrice Céline Loiseau
Perché secondo te persone come i protagonisti di Sur L’Adamant sono ignorati dalla società?
“Viviamo in una società in cui devi essere come in una scatola, devi adattarti a quella scatola, e quindi chi è un po’ fuori dagli schemi diventa inquietante, difficile da accettare. Dobbiamo trovare un modo per accettare di essere un po’ fuori dagli schemi ed è quello che il film mostra e quello che stanno cercando di fare a l’Adamant”.
Una delle più intense protagoniste del film dice a un certo punto: “Sono sicura che guarirò”, cosa pensi di questa affermazione?
“Lo afferma Muriel e all’infermiera che le chiede cosa intende per guarigione risponde che per lei significa vivere con meno ansie. È ovviamente una cosa molto soggettiva, che cambia da una persona all’altra, ed è ciò che colpisce di questo progetto. Per me questo è un argomento molto importante, sai, tutti conosciamo qualcuno nella nostra famiglia o tra i nostri amici che ha avuto a che fare con problemi psichiatrici o che se ne occupa, così guardando il film ho avuto la sensazione di riuscire a capire come pensano e come funziona la loro mente, sono davvero in grado di connettersi con le persone in un modo peculiare, mi è sembrato di entrare in connessione con loro, e penso che questo film possa aiutare a cambiare il nostro modo di pensare”.
Quanto è stata importante la vittoria a Berlino per voi?
“Per un film del genere e soprattutto per un documentario è molto importante a più livelli: perché dà una sorta di riconoscimento ai protagonisti e a chi si occupa di loro con amore, accendendo i riflettori sul disagio mentale, ma è molto importante anche per sottolineare ancora una volta come il documentario abbia la stessa importanza di un film di finzione”.
Che cosa ti colpisce in un progetto tanto da decidere di produrlo?
“La necessità del regista di raccontare una storia, deve avere un punto di vista molto forte”.
Progetti futuri?
“Stiamo preparando due documentari legati ai protagonisti di Sur l’Adamant, quindi rivedremo Francois, l’uomo che canta all’inizio del film, o Olivia, la donna che immagine e disegna le sue figlie, per esempio. Gireremo anche in un ospedale psichiatrico e riprenderemo le conversazioni tra i pazienti e gli psichiatri”.