Il giuramento di Pamfir: recensione del film di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk
Un film d'esordio che affronta il rapporto dell'uomo con la propria comunità d'appartenenza in chiave tragica.
Esce il 10 agosto 2023 in sala con Movies Inspired il lungometraggio d’esordio del regista ucraino Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk, Il giuramento di Pamfir.
Il film, selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, narra la storia del ritorno di Leonid al suo paese d’origine, un villaggio situato nel confine occidentale fra Ucraina e Romania. L’uomo, soprannominato Pamfir, scava pozzi per vivere. Dopo aver lavorato in Polonia, viene ingaggiato dalla chiesa del suo villaggio. Pamfir si ricongiunge così con la devota moglie Olena e il figlio adolescente Nazar. Purtroppo però una serie di accidenti portano l’uomo a ricorrere alle sue abilità di ex-contrabbandiere, mettendolo in contrasto con il corrotto capo della polizia forestale, che agisce da piccolo tiranno locale e non tollera altri contrabbandieri se non quelli che lavorano per lui.
La festa (nietzschiana) del mito
La vicenda è ambientata nei giorni del Carnevale tradizionale ucraino e russo, la Maslenica, festa durante la quale l’intero villaggio si abbandona a travestimenti folklorici, ebbrezza alcolica e incontri di lotta rituali. Questo elemento folklorico è funzionale a inserire la narrazione in un contesto spazio-temporale in cui le regole sociali comuni sono invertite e in cui la religione cristiana ortodossa, che segna la vita di tutti gli abitanti del villaggio, viene sostituita da una concezione pagana dell’esistere. Si tratta cioè di un momento in cui gli istinti più primitivi dell’uomo hanno libero sfogo, rivelando le contraddizioni dei costrutti sociali. Quello che Sukholytkyy-Sobchuk vuole ottenere, inserendo la vicenda del buon padre che ritorna in patria e si deve sacrificare per il bene della propria famiglia, in un simile contesto, è di trasformare la storia di Pamfir in un mito esemplare moderno.
L’eroe in esilio, una sorta di Ulisse sottoproletario, tornato a Itaca, privato della possibilità anche solo remota di influire sull’ordine sociale della propria terra, non riesce nemmeno a ristabilire un ordine familiare. Egli soccombe ai demoni dell’avidità e della corruzione di una comunità in preda al caos del male. Un male che il regista lega a doppio filo alla religione cristiana, intesa in termini nietzschiani, cioè una struttura di credenze atta a opprimere i sentimenti più naturali dell’uomo, per ricondurlo entro una vita fatta di obbedienza ai meschini al potere ed esaltazione dell’automortificazione. Non è un caso che Pamfir venga introdotto nella narrazione con indosso una maschera tipica della Maslenica, che ricorda un demoniaco ibrido umano/animale: una sorta di satiro che bene ne personifica la forza bruta e l’istintualità. Egli vive seguendo un codice d’onore oramai soppiantato dalle regole dell’avidità e del tradimento e si fa vanto di una forza quasi sovrannaturale, che però viene costantemente sopraffatta con l’inganno.
Il giuramento di Pamfir: valutazione e conclusione
Per raccontare questo mito Sukholytkyy-Sobchuk utilizza il piano sequenza, elevandolo a strumento atto a introdurre lo spettatore in un mondo ancestrale. L’ottima fotografia usa colorimetrie contrastate creando un’illuminazione astratta e, a tratti, onirica, in cui i rossi e i verdi accesi dei neon si alternano al grigiore invernale della nebbia. L’intera operazione è volta a restituire il carattere mitico/esemplare del racconto. Purtroppo però i personaggi finiscono per apparire fin troppo stilizzati, inseriti, come sono, nel contesto della realistica storia di corruzione. Gli aspetti più oscuri e onirici della Maslenica, d’altro canto, non riescono mai a prendere davvero il sopravvento. Risulta invece interessante l’idea per cui l’universo di valori simbolici tradizionali che porta avanti Pamfir, il culto della famiglia e il mitema dell’onestà, che attraverso il duro lavoro potrebbe portare a un riscatto sociale, siano gli stessi valori propagandati dal sistema corrotto, formato dalla triade chiesa, stato ed esercito, che per primo ostacola l’espressione degli stessi.
In definitiva si può sostenere che Il giuramento di Pamfir, nonostante alcuni difetti, sia tuttavia un buon esordio. Sicuramente, tra film su inventori di bombe e bambole spacciate per icone progressiste, offre una visione di cinema quantomeno alternativa, in questo opprimente panorama estivo.