Painkiller: recensione della miniserie Netflix
Dal 10 agosto 2023 su Netflix, la sconvolgente e potentissima serie diretta da Peter Berg sule morti causate dalla diffusione di OxyContin negli Stati Uniti. Una miniserie che lascia il segno scritta dagli autori di Narcos.
Agosto è il culmine della stagione balneare, un mese in cui le spiagge e i locali climatizzati si sostituiscono quasi interamente ai divani di casa e alle poltrone delle sale cinematografiche. Il ché normalmente scoraggia i distributori a rilasciare e gli esercenti o i broadcaster a programmare titoli di punta. Così salvo qualche rimanenza del listino da piazzare o il blockbuster di turno sbanca botteghino, il grande e il piccolo schermo restano solitamente all’asciutto di prodotti audiovisivi altisonanti o degni di nota. Vi sono però delle eccezioni, vedi ad esempio Netflix che proprio a ridosso di Ferragosto ha deciso di offrire ai suoi abbonati qualcosa di davvero stuzzicante. Oltre all’attesissimo action movie Heart of Stone con Gal Gadot, la grande N ha offerto ai propri utenti una delle serie a nostro avviso più coinvolgenti e riuscite tra quelle approdate sulla piattaforma a stelle e strisce negli ultimi anni. Stiamo parlando di Painkiller, la miniserie in sei episodi (da 52 minuti cadauno) firmata dai creatori di Narcos, Micah Fitzerman-Blue e Noah Harpster, disponibile dal 10 agosto 2023. Due nomi, i loro, per altrettante garanzie che si vanno a sommare a quello di Peter Berg alla regia. E il risultato non poteva che essere uno show di altissimo livello, di quelli che non bisognerebbe farsi sfuggire per nulla al mondo.
In Painkiller vengono rievocate la nascita, la crescita e l’evoluzione della Purdue Pharma, l’azienda che ha creato il farmaco mortale
Il terzetto ha riportato sullo schermo la storia della diffusione di OxyContin, l’antidolorifico della famiglia degli oppioidi che ha causato a oggi più di trecentomila morti per overdose e dipendenza. Nei capitoli che vanno a comporre Painkiller vengono rievocate la nascita, la crescita e l’evoluzione della Purdue Pharma, l’azienda che ha creato il suddetto farmaco, la cui vendita fruttato agli aventi diritto miliardi di dollari. Della sconvolgente e drammatica questione, infatti, si era già occupata, seppur in maniera diversa, la miniserie Dopesick di Danny Strong, a sua volta ispirata al bestseller omonimo di Beth Macy. Non poteva essere altrimenti data la portata, il peso specifico e le conseguenze della vicenda. Dal canto loro, gli autori sono andati ad attingere da altre fonti: da una parte l’articolo del New Yorker The Family That Built an Empire of Pain di Patrick Radden Keefe e dall’altra il libro Pain Killer: An Empire of Deceit and the Origin of America’s Opioid Epidemic di Barry Meier. Tali fonti sono diventate il tessuto della fitta e intricata ragnatela narrativa e drammaturgica che è alla base di un tesissimo e affilato ibrido medical e legal-thriller che, pur romanzando alcune situazioni, parte e si alimenta da storie e personaggi reali. Lo testimoniano i frammenti di interviste ad alcuni familiari delle vittime che aprono ogni episodio.
Vittime, carnefici e coloro che si sono battuti per mettere fine all’immane tragedia si fronteggiano sullo schermo in un’odissea pubblica e privata
Vittime, carnefici e coloro che si sono battuti per mettere fine all’immane tragedia si fronteggiano sullo schermo in un’odissea pubblica e privata che ieri come oggi non può lasciare indifferenti chi l’ha vissuta sulla propria pelle e lo spettatore che deciderà di vedere la serie. Questi si troveranno a fare e rifare i conti con un magma incandescenti di dolore, corruzione, speculazione, travagliati rapporti genitori-figli, manie di grandezza, lacune del sistema giudiziario e ovviamente dipendenza. Il tutto viene ricostruito dalle sapienti mani di Berg in un racconto di fiction a più tappe che ha l’approccio, la spinta propulsiva e la lama tagliente di un’opera d’inchiesta, chiamata a denunciare quanto accaduto, oltre alle malefatte dell’azienda farmaceutica e di chi vi era a capo, ossia Richard Sackler, nipote del fondatore Clark Gregg. A vestire i panni del cinico e demoniaco erede in Painkiller troviamo un Matthew Broderick in stato di grazia, qui alle prese con una performance strepitosa, azzardiamo a dire una delle migliori, se non la migliore, della sua carriera. Lui e la controparte Uzo Aduba, che interpreta la coraggiosa e inarrestabile investigatrice del procuratore distrettuale Edie Flowers che si batterà per giungerà alla verità, rappresentano le punte di diamante di una serie emotivamente potentissima e dalle qualità innegabili sia di scrittura che di messa in quadro. Loro danno corpo e voce a due delle tre prospettive attraverso le quali si scompone e ricompone la linea orizzontale del racconto, con la terza che viene affidata a una delle future vittime del farmaco, un operaio che diventa dipendente da Oxy dopo un infortunio sul lavoro di nome Glen, qui interpretato da un Taylor Kitsch altrettanto intenso e sofferente. I tre punti di vista, ai quali si vanno ad aggiungere di volta in volta altre figure come venditori, burocrati corrotti, dipendenti e familiari, confluiscono per poi entrare in rotta di collisione in un epilogo che lascerà il segno nel fruitore.
Si assiste a un crescendo di tensione febbrile che episodio dopo episodio accelera sempre più di ritmo sino a implodere sullo schermo
Fitzerman-Blue e Harpster costruiscono tassello su tassello un coinvolgente puzzle narrativo, che il regista newyorkese trasformerà in fase di trasposizione in un accumulatore seriale di suspense ed emozioni cangianti. Si assiste a un crescendo di tensione febbrile che episodio dopo episodio accelera sempre più di ritmo sino a implodere sullo schermo, lasciando al fruitore un mix di rabbia, dolore e commozione. Si uscirà dalla visione di Painkiller come un pugile suonato, mandato KO dopo un lungo ed estenuante match. Vedere per credere.
Painkiller: conclusione e valutazione
Peter Berg e i creatori di Narcos ricostruiscono la sconvolgente e drammatica vicenda della diffusione di OxyContin, l’antidolorifico della famiglia degli oppioidi che ha causato a oggi più di trecentomila morti nei soli Stati Uniti. Lo fanno con un medical-legal-thriller dalla potenza emotiva devastante, che racconta la tragedia pubblica e privata dal punto di vista delle vittime, dei carnefici e di coloro che furono incaricati di porre fine alla piaga della dipendenza provocata dal farmaco della Purdue Pharma. Ritmo incalzante, scrittura solida, confezione d’impatto e performance attoriali di altissimo livello dove spiccano le interpretazioni impeccabili di Matthew Broderick e Uzo Aduba. Una miniserie da non lasciarsi sfuggire assolutamente.