Venezia 80 – Melk: recensione del film di Stefanie Kolk
Alle Giornate degli Autori del Festival del Cinema di Venezia 2023 è stato presentato in concorso il danese Melk di Stefanie Wolk
Oggi il tema della maternità è uno dei trend più in voga sui social. Le influencer – e a ruota gli utenti comuni – raccontano spasmodicamente ogni dettaglio della gravidanza, impazzano le foto dei neonati appena partoriti, è possibile trovare qualsiasi tipo di consiglio o approccio alla dolce attesa e all’allattamento, gruppi di doula (una donna che si prende cura di un’altra donna) mostrano scene di parti naturali come fossero dei rituali ancestrali. Di morte prematura in pancia (morte intrauterina) però non si parla, perché è un tema tabù, in qualsiasi contesto, e per fortuna un evento raro. Melk (Milk) di Stefanie Kolk, film in concorso alla ventesima edizione delle Giornate degli autori di Venezia 80, si prende la responsabilità di portare in scena una (non) mamma che deve partorire il suo bimbo morto in pancia e successivamente fare i conti con il proprio latte.
Melk mette in scena un dolore inimmaginabile
Il corpo della donna, dopo l’evento del parto, produce il latte materno. Fisiologicamente, per evitare mastiti e blocchi, il latte va tirato via dal seno, ma proprio questa attività di estrazione permette al latte di aumentare la sua produzione. Robin non ha il suo bambino da sfamare, ma decide di non interrompere la produzione di latte in modo farmacologico. Sarà questo il modo di elaborare il suo lutto, di cercare di dare una risposta a quella domanda che risuona nelle teste di chi ha subito un’enorme tragedia: “perché proprio a me?”. Robin continua a produrre latte per i bambini che ne hanno bisogno, orfani, figli di madri che non riescono ad allattare esclusivamente al seno. Questo scopo per Robin sembra essere la chiave di volta per elaborare la sua perdita, ma un intoppo burocratico complica le cose.
L’elaborazione del lutto in Melk passa attraverso l’aiuto per gli altri
Robin continua a riempire il suo freezer di bottigliette di latte materno, tanto da doverne comprare un altro. Come la sua mente i cassetti del congelatore iniziano ad essere ingombrati, come per il latte che continua a sgorgare, Robin non sa più dove far defluire il suo dolore eppure non vuole lasciarlo andare. Non basta decidere di smettere di soffrire, il dolore si deve attraversare, elaborare, come ci suggerisce il film nella scena metaforica in cui Robin richiama con l’indice una bottiglia di latte che rotola sul tavolo. La protagonista vorrebbe poter lasciar cadere quella bottiglia che rappresenta il suo dolore sul pavimento, ma è il dolore stesso a tornare da lei. L’unico modo per dare un senso a ciò che sta vivendo, mantenere un equilibrio con suo marito, è provare a condividere il latte con le altre mamme. Stefanie Kolk, regista danese della Netherlands Film Academy, ha tratto spunto da una storia realmente accaduta a sua sorella per esplorare quell’intangibilità di un legame spezzato troppo presto.
Regia statica e spunti narrativi non sfruttati
Si parla poco in Melk, i dialoghi sono davvero rari. Si osserva il silenzio: un silenzio di rispetto per chi ha subito una tragedia e un silenzio che è la rappresentazione di chi ha perso le parole per lo strazio per il lutto di un bambino mai nato. Ed è proprio qui che il film si inceppa perché la sceneggiatura scarna e una regia statica non riescono a raccontare in modo empatico questo enorme dolore. Di intrecci e spunti narrativi ce ne sono tanti: le dinamiche famigliari, la necessità di condividere il proprio dolore con un gruppo di trekking silenzioso, il rapporto con le altre madri i cui neonati necessitano di latte di altre madri. Tutto però resta soffocato nel silenzio e in un minimalismo visivo che manda in sofferenza lo spettatore.
Melk: valutazione e conclusione
La scelta di affrontare un tema così delicato è da apprezzare, come anche il provare ad esplorare il tema della maternità da un’altra angolazione. È difficile raccontare il vuoto provato da chi subisce una tragedia, affrontare il dolore e trasformarlo in immagini. Ancor di più quando questo dolore è causato dalla perdita di una persona che non è ancora venuta al mondo. Melk non riesce ad arrivare al cuore e alla mente dello spettatore.