Venezia 80 – Io capitano: recensione del film di Matteo Garrone
Io capitano è in assoluto uno dei migliori film di realtà di Matteo Garrone, un'opera che spacca l'anima.
Un pugno farebbe meno male e un abbraccio meno bene in confronto alla visione di Io capitano, il film di Matteo Garrone tratto da una storia vera (girato in parte in wolof, la lingua del Senegal, in parte in francese) presentato in Concorso alla 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e nelle sale italiane dal 7 settembre 2023 con 01 Distribution.
Il regista, che si è occupato della sceneggiatura insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri, parla di immigrazione puntando la macchina da presa dal lato opposto, ovvero dalla parte di chi il viaggio lo fa dall’Africa verso l’Europa, spinto non solo dalla voglia di avere una vita migliore ma anche dalla curiosità di scoprire un mondo ignoto, in fondo non così tanto lontano dal proprio, eppure irraggiungibile.
Io capitano: un’Odissea moderna spogliata dal pietismo e impreziosita di sprazzi di ilarità
Quella di Seydou e Moussa è un’Odissea che si scrolla di dosso la patina del pietismo e ci solleva persino dalla rabbia e dall’incomprensione, trapiantandoci nei bulbi oculari di due adolescenti che si fanno esploratori e sacerdoti della loro stessa esistenza, in una smania di evasione che li porta a fronteggiare innanzitutto le proprie paure, animate da racconti a cui stentano a credere.
Io capitano è un ossimoro in moto perpetuo poiché alterna la dolcezza e la rassicurazione di trovarsi in comfort zone all’abominio della violenza e dell’ingiustizia. D’altro canto solo così potremmo sopportare e apprezzare un’opera così intensa, incamminarci nel suo luminoso abisso fino a farne parte, tendendole la mano con la fiducia di chi non sa esattamente a cosa sta andando incontro.
Matteo Garrone coadiuva la regia incastrando le movenze pulite e misurate della macchina da presa col montaggio di Marco Spoletini, gli effetti speciali di Laurent Creusot e la fotografia di Paolo Carnera, che regala alla scena una luce mai accecante, sempre pronta a giocare sapientemente tra luminosità e tenebre.
Lo sguardo si abbandona alle riprese che pedinano le violente corse nel deserto, scivola sui cadaveri e tra gli orrori delle prigioni libiche; ci lascia intrufolare nelle abitazioni e tra le strade di Dakar, salvo poi regalarci piccoli sorsi d’infinito nelle visioni liberatorie di un deserto da Mille e una notte o in quel mare così placido, azzurro e spensierato in cui la luce è comunque sempre lontana, spostata in alto a sinistra, come se volesse essere gentile e non bruciare il volto o come se volesse dirci che il sole c’è, ma è ancora un po’ lontano.
La musica per ricordarci la gioia e l’interpretazione di Seydou Sarr per spaccarci l’anima
Io capitano fa una critica feroce al sistema politico e sociale: toglie il velo dai nostri occhi occidentali così piccoli e inconsapevoli per farci vedere il mondo dalla parte di chi sta davvero peggio; violentato nel corpo e nello spirito nei confini del proprio Paese, incapace di evadere, di avere la libertà sacrosanta di spostarsi e decidere del proprio destino.
Un film che ci fa sorridere, ci uccide e ridona la vita ripetutamente, nello snodo di alcuni passaggi di sceneggiatura che compongono la spina dorsale di una narrazione vincente, bilanciata e profondamente umana, sorretta da una colonna sonora (firmata da Andrea Farri) che ci ricorda ripetutamente il miracolo di stare al mondo. Le note, nel film di Garrone, pizzicano dolcemente la chitarra, picchiettano con le mani sul djembe, fino a farci vibrare l’anima di gioia e si confondono irriducibilmente con i suoni della città e della quotidianità, intersecando versi rappati, video cementati dentro ai telefoni cellulari e frasi.
L’interpretazione dei protagonisti Seydou Sarr e Moustapha Fall (che hanno vissuto sulla loro pelle, con le dovute variazioni filmiche, la storia narrata nel film) è impeccabilmente vivida e sincera. Lo spirito di Seydou Sarr, in particolar modo, fuoriesce dal grande schermo con un impeto tale che nell’ultima scena verrebbe solo voglia di strappare quel telo bianco con la malata presunzione di oltrepassarlo, cascare dentro il film, salire su quella barca e abbracciarlo, abbracciarlo forte, come se si potessero lenire realmente le ferite.
Io capitano: valutazione e conclusione
Io capitano è in assoluto uno dei migliori film di realtà di Matteo Garrone: una lettera potente che sa raccontare con meravigliosa leggerezza la drammaticità, spingendoci gloriosamente dentro i panni dell’altro per farci capire quanto starebbero stretti anche a noi. Un film che non ci umilia né ci spinge a compassione bensì ci induce verso la comprensione viscerale di un tragitto che talvolta sappiamo ma che preferiamo ignorare.
L’opera cinematografica, che si avvale anche delle interpretazioni di Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna, Khady Sy, Venus Gueye, Cheick Oumar Diaw e Bamar Kane, dei costumi di Stefano Ciammitti e del trucco di Dalia Colli, probabilmente non ha la pretesa di cambiare il mondo, ma ha tutte le carte in regola per cambiare il nostro punto di vista sul mondo, fungendo da punto panoramico per visionare nel dettaglio la nostra più autentica umanità, dandogli tridimensionalità e forza.