Doggy Style: recensione del film di Josh Greenbaum
Un road movie a misura di cane che facendo propria l’ironia surreale ed epica di Fratello, dove sei? e così anche la scorrettezza tipica di quel cinema direttamente riferibile al sodalizio Rogen/Goldberg, diverte e fa riflettere, ammucchiando riferimenti su riferimenti, passando per Stand By Me, All American Boys, The Goonies, A Dog’s Purpose e Paura e delirio a Las Vegas, trovando comunque una propria impronta. Al cinema dal 14 settembre, distribuzione a cura di Universal Pictures Italia.
Scordate la dolcezza malinconica di quella corrente di cinema che ponendo al centro della propria narrazione uno o più cani, ce l’ha messa davvero tutta pur di condurci alle lacrime e alla commozione, rappresentata da titoli quali Io e Marley, Attraverso i miei occhi, Qua la zampa! o ancora Un viaggio a quattro zampe, tutti d’altronde destinati a tornare in chiave parodistica – era ora! – all’interno di questo divertentissimo, seppur inevitabilmente amaro Doggy Style di Josh Greenbaum.
Pochissimi si sarebbero potuti aspettare che il regista di Barb and Star Go to Vista Del Mar, una bizzarra commedia tutt’oggi inspiegabile, avrebbe in seguito diretto un film come questo, eppure è così.
Complice la scrittura esperta in chiave demenziale e parodistica del Dan Perrault di American Vandal e Players, Strays, titolo certamente più forte ed evocativo del nostrano Doggy Style – nonostante di Doggy Style nel film se ne parli in abbondanza – pur non risultando scorretto e immorale come inizialmente apparso dai primissimi trailer e clip, diverte, convince e spinge a riflettere, tra orge inanimate, golden shower di gruppo, erezioni canine, trip psichedelici e stragi di coniglietti.
Combinando la capacità di improvvisazione comica di interpreti quali Will Ferrell, Jamie Foxx, Isla Fisher e Randall Park, a vere e proprie riprese dal vivo di cani reali, Doggy Style lavora su un’idea di cinema nient’affatto familiare, in cerca dunque di dolcezza e conforto, piuttosto sulla dimensione stoner, disperata e caustica del convenzionale buddy e road movie.
Il tentativo è quello di rileggere una moltitudine di titoli cult tra i quali Fratello, dove sei? e ancora Stand By Me e All American Boys attraverso le lenti della demenzialità più scorretta e gratuita, adattandole a misura di cane – ciascuno di taglia e razza differente -, trovando il proprio punto di forza in una divertentissima caccia alla citazione, che se in un primo momento appare gridata a gran voce, perciò esplicitata, solo in seguito si fa via via più sotterranea, perciò complessa da identificare, dimostrando la giusta direzione di un piccolo film dai toni sottilmente immorali, e dagli inevitabili buoni sentimenti di fondo che gestiti a dovere, non soltanto non guastano, ma conquistano pure.
Strays Club – Regole, consapevolezza e strategia
“Regola numero uno: Vuoi che qualcosa ti appartenga? Devi pi*****e sopra, allora sarà tua!
Regola numero due: Puoi sc*****i qualsiasi cosa tu voglia!
Regola numero tre, e più importante di qualsiasi altra: Tu, sei solo!”
Appena dopo essere stato abbandonato da Doug (un inedito Will Forte), padrone tossicodipendente, ninfomane, violento e reietto, Reggie (la cui voce non poteva che appartenere a Will Ferrell), un adorabile Border Terrier, convinto di chiamarsi “Shitbag” o ancora “Fucknugget” entra in contatto con un altro randagio, Bug (Jamie Foxx), un Boston Terrier ossessionato da un divano che dopo aver amato, sessualmente e platonicamente, ha chiamato Dolores, il quale, prima di ogni altra cosa, insegna a Reggie le tre regole fondamentali dell’essere un randagio, destinate inevitabilmente a mutare nel corso del film, eppure centrali per la dinamica demenziale della sua narrazione.
Bug però a differenza di Reggie non è solo. In sua compagnia ci sono anche altri due randagi di lungo corso: un pastore australiano di nome Maggie (Isla Fisher) ed un alano da terapia, nonché ex poliziotto, chiamato Hunter (Randall Park), ingenuamente convinto di non potersi mai togliere un fastidiosissimo collare, pur non soffrendo di alcuna malattia o disagio fisico.
Unendo le forze, i quattro randagi cominciano dunque un percorso di accettazione della propria natura, libertà e condizione che poggia tanto su discorsi ironicamente motivazionali e disperatamente filosofici, quanto su pratiche o strategie di vita e sopravvivenza decisamente esilaranti, che non potevano che culminare in una gigantesca defecazione di gruppo, tale da fare impallidire un certo cinema Pasoliniano tutt’oggi francamente inguardabile.
Se mai qualcuno però dovesse tentare di immaginare una parodia di Salò o le 120 giornate di Sodoma, è proprio da Doggy Style di Josh Greenbaum che dovrebbe partire.
Umorismo caustico e demenzialità puerilmente immorale – il Rated R (o divieto ai minori) si sarebbe infatti potuto evitare – fanno da padroni rispetto ai toni emotivi del film, eppure è proprio nella riflessione sull’abbandono e la consapevolezza di aver smarrito quell’identità di comfort, sicurezza e protezione propria dell’essere cucciolo all’interno di una famiglia, che Doggy Style e così la sua scrittura, offre il suo meglio, coinvolgendo efficacemente e sinceramente lo spettatore in una riflessione perdurante, matura e lucidissima sul significato di responsabilità, cura e moralità.
Doggy Style: valutazione e conclusione
Esilarante Dennis Quaid nei panni di sé stesso, in una delle sequenze più probabilmente coinvolgenti e divertenti dell’intero film, capace di deridere inevitabilmente tutta quella schiera foltissima di titoli drammatici e strappalacrime, interpretati dallo stesso Quaid al cui centro è posto un cane, citando al tempo stesso uno dei momenti più riusciti e memorabili dell’adorabile Ricatto d’amore di Anne Fletcher.
Ancor meglio una sanguinosa strage di coniglietti nel corso di un trip allucinato e delirante, dall’inevitabile rimando al cult Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam, o la catarsi della vendetta di Reggie, coadiuvata dall’intero club dei Randagi, e sottolineata in colonna sonora dall’ormai più che celebre Wrecking Ball di Miley Cyrus, e ancora, che sollievo la satira operata dal duo Greenbaum/Dan Perrault rispetto alla riflessiva poetica ed esistenzialista drammaticità di Io e Marley, che qui torna più e più volte in chiave parodistica attraverso la presenza di un simil Marley a cui viene affidata la voce niente meno che di Josh Gad.
Quello di Gad è un Marley che seduto nel mezzo della folla, osserva silenziosamente soltanto il suo padrone, senza considerare gli altri cani e le altre persone, finendo per riflettere insistentemente tra sé e sé su quanto sia unico, incredibile, irraggiungibile e inspiegabile l’amore provato per il padrone, ricevendo più e più volte – e giustamente – insulti dai cani del club dei randagi, che stanchi di starlo ad osservare, se ne distanziano immediatamente.
Basterebbero questi elementi per dare una chance a Doggy Style.
Un film scorretto, divertente, amaro e inaspettatamente lucido e realista. Al cinema a partire da giovedì 14 settembre 2023. Distribuzione a cura di Universal Pictures Italia.