Non credo in niente: l’atipico esordio di Alessandro Marzullo è il “viaggio al termine della notte” che fa per voi
Se almeno una volta nella vita, avete ascoltato Nightswimming dei R.E.M. perdendovi e lasciandovi trasportare dalla sua malinconia disillusa e al tempo stesso dolce e confortante, abbracciando il buio e il pensiero che inevitabilmente porta con sé, per poi riaprire gli occhi osservando nuovamente la luce e la vita, Non credo in niente, l’esordio atipico e coraggioso di Alessandro Marzullo è il film che fa per voi. Al cinema da giovedì 28 settembre, distribuzione a cura di Daitona e Flickmates
“Facciamo che sono uno dei tuoi personaggi e mi dici che cosa devo fare.“
“Io non scrivo i personaggi. Puoi fare quello che vuoi, devi solo sentirti libera. Va bene?“
In questo scambio di battute si può concentrare tutta l’essenza minimalista, poetica ed esistenzialista di Non credo in niente, il bizzarro, virtuosistico e folgorante esordio di Alessandro Marzullo.
Un film che riflette sull’esigenza d’essere, rispetto a qualsiasi forma e luogo e sul timore che ciò non accada, ecco perché ricorrere all’arte, che essa possa coincidere con la musica, la lettura o il cinema, poco importa. Ciò che conta è dar vita al movimento, alle sensazioni e agli sguardi, purché tutto accada in libertà, sregolatamente.
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Vagabonda inquieto a bordo del suo taxi, Travis Bickle, in Taxi Driver, osservando la notte e la sua umanità folle, disperata e paranoica. Un’umanità che ha perduto il sogno, e che ha abbracciato la perdizione, almeno in quei casi, in cui il sogno sia stato effettivamente reale, rispetto a tutti gli altri invece, soltanto il caos e la morte.
Dunque la perdita del proprio sogno come privazione dell’anima e del proprio essere, che passando tanto per il cinema di Paul Schrader, quanto per quello dei Fratelli Coen e di Sean Baker, osserva l’illusione, il fulgore momentaneo scatenato dalla stessa scintilla che anima e poi spegne i protagonisti di Non credo in niente, avvolti e in qualche modo protetti dall’oscurità amniotica di una notte romana apparentemente infinita, fatta di svelamenti, dialoghi, verità, riflessioni e inevitabilmente, addii.
Fin dalla sequenza d’apertura e dalle primissime inquadrature di Non credo in niente, si ha l’immediata percezione di una ricerca cinematografica nient’affatto convenzionale, piuttosto interessata ad un gusto sperimentale e atipico di lavoro sull’immagine e sui corpi – e i volti – interni ad essa, non per forza regolati da indicazioni ferree e suggerimenti registici, o almeno così appare, affidandoli alla libertà, al caos, e alle molteplici possibilità dell’esplorazione creativa, visiva, flessibile e personale dei ruoli e dei loro sentimenti.
Rivive nell’esordio di Marzullo, il Derek Cianfrance dello struggente Blue Valentine, che si riflette sulle dinamiche conflittuali, perciò di cambiamento e di resa, della coppia formata da Cara (Renata Malinconico) e Jonio (Mario Russo), che pur inseguendo sempre più rapidamente e sfrontatamente quel confronto a lungo evitato, non smette di celare l’amore. Quello che un tempo è stato vivo, animandosi in un vicolo buio, o su di una scalinata, per poi spegnersi, fino alle lacrime, agli insulti, alle grida, perciò alla solitudine e alla disperazione.
Così come la saga dell’uomo solitario di Paul Schrader non può far a meno di rendere protagonista della sua narrazione, una malinconia feroce che si risolve nella violenza e nell’osservazione di protagonisti ossessionati, nichilisti ed emarginati, alle prese con i propri sogni, desideri e mestieri, Non credo in niente sprofonda i suoi quattro giovani sognatori nella medesima atmosfera, privandoli di luce – se non quella al neon che di tanto in tanto, allucinatoria, illumina e svela, volti e corpi deformati dalle ombre, al punto tale da renderli immateriali e non esistenti –, dunque di emotività.
Apparentemente, sembra che Marzullo a questi quattro protagonisti così definitivamente soli e malinconici, abbia scelto di non garantire alcuna possibilità di rinascita, di sollievo e speranza. Eppure, molto presto, scopriamo che al sopraggiungere dell’alba, perfino a loro spetta una pacificazione, che se non coincide con la soluzione di ogni problema, dubbio, o riflessione, senz’altro conduce i quattro alla sopravvivenza, mantenendone salda perfino la rincorsa del sogno.
Sul paninaro delle (dis)illusioni di Non credo in niente
A sorprendere di Non credo in niente, non è tanto l’aspetto virtuosistico senz’altro concreto della regia di Marzullo, piuttosto il linguaggio antologico su cui poggia la scrittura dello stesso che bilancia prove interpretative generalmente in sottrazione, con un fiume di dialoghi fortemente introspettivo, a flusso di coscienza, che nello sfruttare la forza vivida e comunicativa di un voice over ancora una volta malinconico e al di sopra delle parti, ci rimanda a quel folle eppure appassionante, cinico e sregolato Viaggio al termine della notte di Céline.
Un’opera capace nella sua lucidità scandalistica, adulta e modernista, di illuminare perfino la bellezza di quei volti orrendamente incupiti e abbattuti, tanto dalla fine di un amore, quanto dall’osservazione diretta della morte, al punto tale da renderli amabili e speranzosi.
I quattro protagonisti di Non credo in niente vivono la medesima situazione e Marzullo, qui nel ruolo di regista emergente, sceneggiatore e produttore, affida l’intero senso – e significato – del film, a quel paninaro delle (dis)illusioni che lega le quattro anime, consapevolmente oppure no, distrugge e salva ciascuno di loro, appassionandosi ad ogni dinamica narrativa, tanto dietro la macchina da presa, quanto dinanzi ad essa, vestendo i panni di quel classico personaggio Coeniano, che alla stregua dello Straniero (Sam Elliott) de Il grande Lebowski, che qui incontra l’Augusto (Mario Brega) di Borotalco, non può far altro dispensare consigli e massime di vita non richieste, osservando un’unica forma di saggezza e filosofia – altro che Bauman, Maupassant e Rilke – , quella cioè del panino.
Per queste e molte altre ragioni, Non credo in niente di Alessandro Marzullo è un esordio da non perdere.
Presentato in anteprima alla 59° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro 2023 nella sezione Proiezioni Speciali, Non credo in niente è al cinema a partire dal 28 settembre 2023. Distribuzione a cura di Daitona e Flickmates.