Roma FF18 – La zona d’interesse: recensione del film di Jonathan Glazer
A metà strada tra cinema documentaristico, biopic e thriller dell’anima, il quarto lungometraggio da regista dell’autore di Birth – Io sono Sean e Under The Skin, non convince appieno, pur riflettendo tra surrealismo ed intimismo, sugli effetti psicologici del periodo nazista, dal punto di vista di chi realmente ha perpetrato e non subito la violenza e lo sterminio
In Concorso al Festival di Cannes 2023, La zona d’interesse (Zone Of Interest), il quarto film da regista di Jonathan Glazer, approda alla 18ma Festa del Cinema di Roma, all’interno della sezione Best Of 2023. Prodotto da A24, il film è nelle sale italiane dal 22 febbraio 2024 con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection. Liberamente adattato dall’omonimo romanzo di Martin Amis, edito in Italia da Einaudi, il film di Glazer risulta un’opera anomala e ibrida, dalla complessa collocazione di genere.
A metà strada tra cinema documentaristico, biopic e thriller dell’anima, Zone Of Interest (La zona d’interesse) racconta le dinamiche familiari del criminale di guerra tedesco, membro delle SS e primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz, Rudolf Franz Ferdinand Höss.
Il terrore e la violenza. Ciò che il fuoricampo nasconde
Come sempre accaduto nel cinema di Jonathan Glazer, fin dai tempi di Birth – Io sono Sean e Under The Skin, la paura sotterraneamente serpeggia, per poi divenire estremamente visibile e presente, senza doversi affatto annunciare, esplodendo all’improvviso e sprofondando inevitabilmente lo spettatore nell’angoscia e nel misterico – spesso inspiegabile ed inspiegato – costringendolo ad una nevralgica e quasi mai pacificatoria resa dei conti con i propri dubbi, fantasmi e consapevolezze.
Laddove gli stilemi del cinema horror e fantascientifico agivano metaforicamente, in funzione di un racconto sulle ambiguità e debolezze del singolo nella società e all’interno delle logiche di unione di coppia e più in generale familiare, La zona d’interesse, facendo propria la traccia del biopic e in qualche modo del cinema documentaristico, mostra un altro volto dello scenario nazista, sorprendentemente intimistico e all’interno del quale non vi è alcuna violenza nel visibile, relegata piuttosto ad un fuoricampo colmo di angoscianti grida di dolore, fucilate, esplosioni e così via.
Risulta dunque complesso collocare definitivamente Zone Of Interest in un genere unico.
Vuoi per questioni di surrealismo, evidentemente presenti nel quarto lungometraggio di Glazer, a partire dalla costruzione di un immaginario idilliaco ai margini di uno scenario terribilmente spietato e mortifero, cioè il campo di concentramento di Auschwitz.
In questo senso, appare profondamente bizzarra e grottesca la disperata ricerca di tranquillità, da parte della famiglia Höss, attraverso la costruzione di un giardino dell’Eden e di un’abitazione gelida, asettica ed evidentemente retta da logiche sadiche e tremendamente violente, eppure illusoriamente convinte d’una correttezza inattaccabile.
O vuoi perché Glazer tenti in ogni modo, di calare lo spettatore nella dimensione intima e psicologica di un uomo, che pur al servizio di una nazione in quel periodo follemente crudele e tiranna, non smette mai davvero d’essere un padre di famiglia incredibilmente attento ai bisogni e alle necessità quotidiane, tanto dei figli, quanto di una moglie estremamente dispotica e sempre meno interessata all’amore. Piuttosto dedita al suo giardino, alla casa e forse perfino a quella violenza, così lontana, eppure così vicina che in nessun caso abbandona la quotidianità della famiglia Höss, accompagnandola in ogni momento.
Cosa potrebbe mai essere questo Zone Of Interest più di tutto? Un horror? Un biopic? Un thriller dell’anima? O forse un dramma storico?
La risposta al termine della visione non è chiara, soprattutto di fronte al momento durante il quale Jonathan Glazer, nel corso di un breve frammento, interno ad una sequenza più ampia, decide di interrompere la narrazione del film con fare atipicamente documentaristico, mostrandoci il futuro, e insieme a noi vi è perfino Rudolf Franz Ferdinand Höss.
Scendendo le scale di un palazzo cupo e immerso in un’oscurità amniotica, nient’affatto pacificatoria, piuttosto orrorifica e tremendamente dialogante con quella violenza sotterranea, che è in tutto e per tutto la reale protagonista del film, Höss arresta il suo cammino, osservando insieme a noi, le conseguenze di ciò che è stato, per poi svanire, dissolvendosi a nero. Lo stesso con il quale Glazer introduce il suo racconto, intervallato raramente da esplosioni di toni cromatici tendenti al rosso, al grigio e al bianco.
Zone Of Interest (La zona d’interesse): valutazione e conclusione
Piuttosto spontaneamente, viene da chiedersi se una scelta monocromatica non avrebbe potuto giovare alle sorti di un film tremendamente indeciso sulla propria natura ed estetica, e se un po’ più di coraggio, non sarebbe stato forse capace di rendere La zona d’interesse un film realmente memorabile e non così inaspettatamente e drammaticamente sonnolento.
È possibile di sì. Che gran peccato.